Quando Nintendo annunciò Labo, a metà dello scorso gennaio, riuscì sicuramente nell’impresa di sorprendere l’utenza, proponendo un diretto erede degli sfortunati Toys to Life (Skylanders, Lego Dimensions n.d.r.). Il reveal scosse l’ironia di molti, anche della stampa specializzata (compreso il sottoscritto), convinti della non sussistenza di un concept così fuori dalle righe, specie in un mondo videoludico dove VR e Resolution Gate tengono banco alle discussioni di settore.
Come avvenuto però con i Wii Remote prima e con Switch poi, la casa di Kyoto ha con il tempo ribaltato le aspettative, mostrando al pubblico le potenzialità di un approccio volto in primis al pubblico più giovane, sempre entusiasta verso le sperimentazioni. Dopo mesi densi di trailer, alle porte del lancio europeo, siamo dunque in grado di tracciare una linea su questa nuova espressione della Nintendo Difference: l’ennesima stravaganza della casa di Kyoto o qualcosa di più?
Se c’è un qualcosa dove Switch sorprende a livello hardware, quello non sta certo nella natura portatile (qualcuno si ricorda di Nvidia Shield?) ma nelle sorprendenti funzioni dei Joy – Con , talmente ricchi di sensori da risultare la parte più costosa della console. Infrarossi, HD Rumble, accelerometro e giroscopio sono stati tuttavia sfruttati solo da una manciata di titoli, il cui unico degno di nota risulta essere Arms, lasciando da parte l’insulso 1-2 Switch, sovrapprezzata raccolta di minigame che sarebbe stato corretto mettere in bundle, piuttosto che essere venduta a 50 €.
Per risolvere la situazione viene quindi (due anni fa?) affidata carta bianca a Tsubasa Sakaguchi, volto nuovo dei creativi Nintendo e già responsabile per la nascita di Splatoon, la prima nuova proprietà intellettuale della compagnia dai tempi di Pikmin, uscito su Gamecube nel 2002. Dal genio creativo di Sakaguchi – san cresce quindi la più eclettica delle soluzioni: impiegare cartone per interagire con i Joy – Con.
Se sulle prime si poteva rimanere interdetti da tale concept, ad oggi la scelta sembra aver centrato in pieno il bersaglio, costruendo esperienze che impiegano le periferiche di Switch in modi prima inimmaginabili. La RC Car, ad esempio, con una combinazione di HD Rumble (vibrazione n.d.r.) e infrarossi è in grado di muoversi autonomamente in qualsiasi ambiente a superficie liscia, pur essendo un semplice pezzo di cartone dentato; ed è solo la più semplice tra le opportunità proposte.
Il pianoforte, d’altro canto, utilizzando gli infrarossi e il movimento di alcuni marcatori, può riprodurre qualsiasi tipo di melodia, personalizzando il suono grazie all’aggiunta di piccoli moduli esagonali sulla sua base. Il più sorprendente tra i vari Toy – Con è però il kit robot, dove, in maniera simile al pianoforte, un sistema di elastici permette la comunicazione diretta tra un’armatura di cartone e la console, con l’obiettivo di controllare i movimenti di un mecha.
Tuttavia, oltre nella presenza di software dedicato a ognuno dei Toy – Con, l’appeal di Labo sta tutto nella prima fase a cui vi dedicherete se deciderete di inoltrarvi nell’acquisto, la costruzione. Ed è forse proprio qui che si manifesta il target tipicamente family friendly del progetto, da sempre il più complesso da comunicare. Non a caso il marketing di Labo incentiva moltissimo quel connubio di cooperazione tra bambino e genitore che, come abbiamo già accennato, apparteneva anche ai defunti Toys to Life. Dove però Activision con Skylanders e Warner con Lego Dimension avevano fallito, cioè nell’approccio con l’utenza generalista, Nintendo sembra eccellere (come suo solito), spingendo – per capirci – verso copertura da parte di quotidiani nazionali, invece che da siti specializzato.
Il nocciolo della discussione, infatti, a livello commerciale, sta tutto qui, nell’infrangere quel muro tra videogioco e famiglia che troppo spesso viene dato per scontato; per tante produzioni l’unico modo per farlo, nemmeno a dirlo, è passare proprio per quei mezzi che spesso denigrano il nostro medium, con quieto benestare dell’ipocrisia di fondo. Stacce.
Dopo aver discusso estensivamente di costruzione e gioco, è tempo di discutere della funzione che più spicca in Labo, rivelata stranamente molto dopo il lancio, ovvero la Garage Mode. Usufruendo di questa modalità, ogni bambino avrà l’abilità di impostare una reazione di un Joy – Con una volta che questo è stato sottoposto a un certo input. “Se muovo verso il basso vibra”, “Se oggetto viene identificato da infrarossi ferma vibrazione” e così via, verso derive molto più complesse.
Insomma, abbiamo un C++ super semplificato su Switch, supportato anche dalla presenza online di PDF ufficiali per la produzione di tutti i pezzi necessari alle proprie creazioni. Data la presenza di cotanta libertà, le sorprese da parte della community non mancheranno di certo e potrebbero essere la chiave per rendere virale la creatura di Sakaguchi.
Nonostante il lancio imminente, diversi restano ancora gli interrogativi, connessi in particolar modo all’effettiva qualità e longevità dei minigiochi relativi a ogni Toy – Con. Tra questi, la canna da pesca, la moto e la casa rischiano di rivelarsi delle banali esperienze da una volta e via, prive di mordente già dopo una decina di tentativi. La componente ludica potrebbe difatti rivelarsi più che decisiva per le sorti di un prodotto ancora sperimentale, con tutto ancora da dimostrare.
Dal mio punto di vista, in tutta sincerità, faccio fatica a identificare in Labo il nuovo system seller di Switch, al pari di quello che fu lo tsunami mediatico di Wii Sport. Quello che appare è in ogni caso un geniale sfruttamento della piattaforma, il quale, si spera, non passerà inosservato.
Per ulteriori informazioni su Labo e giudizi più approfonditi vi rimandiamo alla recensione in arrivo nelle prossime settimane!