La dura vita da clan – Le mille fatiche del giocare in compagnia

Quando crearsi un gruppo con cui giocare può essere snervante, ma al contempo anche una bella esperienza

Editoriale di Roberto D'Amore

Nella carriera online di ogni giocatore arriva quel momento in cui bisogna prendere una decisione importante: continuare a fare qualche partita ogni tanto, senza impegno, oppure cercare altre persone con cui giocare più spesso. Alcuni potrebbero domandarsi il perché di questo dilemma e la risposta è presto data. Se si escludono titoli che prevedono degli incontri uno contro uno, buona parte del panorama moderno è popolata da giochi che impostano la propria struttura su scontri a squadre. Ora, a causa della grandissima varietà di soggetti che popola i server di questo tipo di esperienze, man mano che si spende più tempo in compagnia di questi titoli, capita sempre più spesso di incontrare persone che farebbero uscire dalla grazia del Sommo persino un santo.

Le motivazioni sono le più disparate e possono variare dalla semplice mancanza di comunicazione, fino all’incomprensibile necessità di rompere le scatole al prossimo per divertimento (questa categoria in particolare sarebbe anche meritevole di un girone infernale, se il sommo poeta avesse modo di revisionare la propria opera magna).

Ecco che si ritorna al dilemma esposto poco sopra, ossia limitare il proprio tempo passato in compagnia di questo genere di titoli, per salvaguardare il proprio fegato e la propria sanità mentale, oppure cercare/formare un gruppo di persone, dotato di regole e di una struttura organizzata, per poter ridurre il numero di elementi incontrollabili nella squadra. Se la scelta ricade sulla seconda opzione, siamo di fronte a quello che in gergo si chiama clan (chiamatelo gilda, videogiocatori anonimi o come vi pare, ma sempre di clan stiamo parlando). Quindi, una volta entrati in un clan tutti i problemi del giocatore solitario dovrebbero essere di colpo risolti, in teoria. Purtroppo non è questo il caso perché la strada è ancora un po’ in salita da qui in avanti. Oltre a tutte le classiche problematiche inerenti a qualsiasi gruppo sociale, in un clan le forze che spingono alla coesione dei suoi elementi spesso e volentieri non sono così forti.

A differenza del “tanto lo vedo solo a Natale e Pasqua” che si adotta con i parenti scomodi o del “finiamo presto il lavoro, così mi tolgo questo rompipalle dai piedi” per i colleghi fastidiosi, in un clan certe motivazioni sono difficili da trovare. Se parliamo di un clan competitivo, la spinta al voler raggiungere un obbiettivo comune può unificare i vari membri, ma in caso contrario l’unica ragione che porta a convivere insieme è quella di fare squadra per una sessione o due e mai motivazione fu più debole di questa. Proprio su questo punto una persona saggia mi ha detto:”Qui siamo amici fra virgolette. Non veniamo a raccontarci i nostri fatti più seri”. Questa affermazione riassume piuttosto bene lo stato del rapporto medio in un clan, ossia tutti ridono e scherzano insieme, ma in fin dei conti alla prima difficoltà ognuno pensa per sé e questo genera inevitabilmente conflitti.

Il capoclàn è forse la figura a cui si è ispirato Samuele Bersani per il brano “Lo scrutatore non votante”

Per fortuna in ogni clan che si rispetti vi è una figura che può risolvere ogni problema di coesione, ossia il capoclàn. Battute spiritose a parte, il capoclàn è forse la figura a cui si è ispirato Samuele Bersani con “Lo scrutatore non votante”. Come il personaggio della canzone, anche il capoclàn è pieno di contraddizioni inerenti al suo ruolo. Ad esempio da un lato ha il potere di far rispettare le regole del gruppo, mentre dall’altro non possiede alcuna vera autorità presso i suoi compagni. Ancora, il capoclàn di solito ha l’importante compito di organizzare allenamenti e partite con altri team, ma a conti fatti questo si traduce in un semplice lavoro da segretario che contatta altre squadre e tiene il calendario in mano per trovare i giorni durante i quali poter giocare. C’è da dire che queste problematiche, unite pure alla varietà di casi umani che è possibile trovare in giro, possono produrre delle situazioni tragicomiche non indifferenti e nella mia esperienza ne ho viste diverse, sia come membro che come capoclàn.

Riprendendo proprio il caso dell’organizzazione delle partite amichevoli, possiamo avere una situazione che chiunque abbia diretto un clan ha di sicuro provato almeno una volta sulla propria pelle. In genere la prima volta che si propone un’attività di questo tipo, la risposta del gruppo è perlopiù entusiasta, salvo qualche eccezione. A questo punto, galvanizzato dal successo ottenuto, il capoclàn inizia ad organizzare il tutto, contattando membri di altri gruppi per mettere insieme i pezzi.

Il primo problema che generalmente si incontra è trovare il giorno e l’ora in cui disputare la partita. Sarebbe lecito in questo momento domandarsi dove sia il problema di formare un gruppetto per un’amichevole, quando è consuetudine farlo tutti i giorni per una semplice classificata, eppure vi assicuro che, per qualche strano fenomeno, tutti quelli che avevano aderito in prima battuta alla partita, al momento di dare la disponibilità, si trasformano da degli sfaccendati Paolino Paperino in degli impegnatissimi zio Paperone senza un attimo di tempo libero. Nell’ottica di fare buon viso a cattivo gioco l’unica soluzione è quella di adottare tutti i mezzi tecnologici possibili, dalla carta e penna al buon vecchio foglio Excel, per appuntare tutte le disponibilità dei membri fino a due settimane successive, incrociandole per trovare la quadra. In caso la data miracolosa di allineamento dei pianeti sia stata trovata bisogna solo pregare che vada bene all’altra squadra.

Se questa insidia è in qualche modo superata, bisogna sempre ricordare la legge di Murphy, che ci ricorda che se qualcosa può andar storto, di sicuro lo farà. Ovviamente ad andare storto sarà che in quell’unico, magico giorno, trovato dopo ore passate a sentire dieci persone, che rispondono anche ad intervalli di un’ora tra i vari messaggi, qualcuno verrà a mancare per un improvviso impegno improrogabile che gli impedisce di esserci proprio quell’unica maledetta sera. A questo punto in genere scattano ansie, corse contro il tempo per cercare un sostituto, nervosismi vari e infine, se si ha fortuna, si riesce a giocare.

Un altro esempio molto comune di attività che potrebbe essere paragonata ad una corsa ad ostacoli è quello dei tornei e degli allenamenti. Per esperienza personale ho imparato che per partecipare a dei tornei come clan vi è una sola regola importante da seguire, ed è la famosa lezione di Yoda al giovane Luke Skywalker, ossia “fare o non fare. Non c’è provare”. Il perché di questa regola è presto detto, in quanto in qualsiasi torneo la maggior parte delle squadre che vi prendono parte sono clan che, indipendentemente dalla media dei livelli di abilità dei singoli membri, partecipano a questo tipo di eventi abitualmente, sono dunque organizzati e sono allenati ad eseguire le proprie strategie nel miglior modo possibile. Un clan non competitivo in genere non ha lo stesso tipo di mentalità e dal canto suo, se tenta di approcciarsi ai tornei, si apre a tutta una serie di criticità.

Le intenzioni in partenza sono delle migliori e il capoclàn come sempre mette insieme le persone che hanno dimostrato interesse a partecipare al torneo, le iscrive alla competizione e poi prepara degli allenamenti per provare ad organizzare qualche strategia prima dell’inizio della competizione. Da qui in poi la prassi generale è la seguente: se tutto va bene il team prova uno o due allenamenti nella settimana precedente all’inizio del torneo, con la promessa di imparare man mano che si procede e sapendo che le prime volte si possono subire delle sconfitte con probabilità abbastanza alte. Quella promessa viene in genere rotta dopo la prima sconfitta con una forza tanto grande quanto è grande la batosta subita. Dopo questo fatidico evento la pratica inizia a perdere attrattiva e capita se ne svolga sempre di meno, o per mancanza di gente, oppure perché quando le persone effettivamente ci sono preferiscono dedicarsi ad altro. A questo punto è solo questione di tempo prima che succeda lo stesso per il torneo e l’intera iniziativa cada nel dimenticatoio.

Oltre ai casi citati potrei raccontare tanti aneddoti ancora più surreali, come una mini guerra fredda tra due membri di un gruppo, oppure quello del clan che durò solo quarantotto ore, oppure ancora la storia del capoclàn che in preda alla rabbia cacciò tutti i membri dal gruppo, per poi diventare lui l’unico ad essere escluso, ma mi dilungherei troppo.

Non è tanto la coppa più bella e luccicante ad essere il santo Graal, ma lo è quella più piccola e rovinata

Al netto dei vari episodi strambi, dei grandi classici e delle problematiche raccontate in precedenza, bisogna tenere in mente una lezione che ci arriva proprio dal professor Indiana Jones. Non è tanto la coppa più bella e luccicante ad essere il santo Graal, ma lo è quella più piccola e rovinata. Potrebbe volerci un po’ a trovare il clan giusto, ma dopo diversi cambi di casacca e con un po’ di fortuna si può riuscire a trovare un gruppo con cui valga la pena rimanere e attraverso il quale formare delle amicizie che vadano oltre il clan stesso.

Si possono incontrare persone che nonostante si trovino in altre regioni sono in grado di diventare come l’appuntamento fisso al bar sotto casa. È possibile conoscere individui che, apparentemente strani o antipatici, si rilevano invece le persone più amichevoli e leali. Con alcuni ci si può anche perdere di vista per un bel po’, solo per risentirli dopo mesi e tornare a ridere e scherzare come se non fosse passato neanche un giorno, mentre ci si racconta le storie di quando si stava insieme nello stesso gruppo. Con altri ancora si può creare appunto un legame che vada oltre il clan stesso e come con veri amici poter ridere, scambiarsi opinioni e comunque in toto passare il tempo.

Per farla breve l’esperienza del clan è una di quelle che può essere esasperante e a tratti frustrante, ma con la giusta perseveranza può portare grandi soddisfazioni e bei momenti ed è una di quelle esperienze che vale la pena provare appieno, perché forse incarna uno degli aspetti migliori del gioco online, ossia la possibilità di stringere sempre nuovi legami.

Ci sono 2 commenti

CastroStark

Davvero un bell’articolo!

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