Perché ho boicottato Electronic Arts

Sguardo in prima persona di un atto sovversivo

Editoriale di Farow

Immaginate di entrare in una galleria d’arte, di fermarvi ad ammirare opere meravigliose per poi – con tutta l’insensatezza di questo mondo – prenderle a martellate, dar loro fuoco e farle a pezzi. Come reagirebbe l’autore di tanta bellezza se fosse proprio la sua mano ad aver compiuto tale scempio? Probabilmente con una risata isterica, come quella di un chihuahua davanti a un alano che si alza in piedi e allora riparte, con un’escalation di toppe e disastri à la Breaking Bad, dove una soluzione crea un altro buco più grande. Chi prima lo stimava, ne apprezzava l’amore e la cura, ora disprezza quei fantocci che sono divenute le sue opere, le quali gli servono solo per causare altri egoistici disastri. Niente più mostre e niente più pubblico sono l’unico metodo per fermare un artista ormai folle, il quale ad ogni intuizione confonde pedissequamente protuberanze per chioschi delle bibite. Nulla sarebbe peggio che osservare impotenti la distruzione dei cimeli che albergano ormai da tanti anni nei nostri cuori, spcialmente se tutto ciò venisse causato dal suo stesso autore. L’efferata iconoclasta chiamata in causa risponde al nome di Electronic Arts e oggi tenteremo di rispondere ad alcuni quesiti a essa legati: cosa sta succedendo? Perché tutto ciò che tocca, quasi come un Mida dei campi, si trasforma in un catalizzatore da agricoltura? E cosa ancor più importante, è possibile per un perfetto signor nessuno boicottare un colosso multimilionario?

Partiamo da un presupposto, non bisognerebbe odiare Electronic Arts. Perlomeno nessuno dovrebbe, soprattutto se ne si considerano gli sforzi umani, la storia e tutte le esperienze memorabili che ci ha regalato. Ciò che ha più indispettito la comunità dei giocatori sono le sue politiche, chiaramente promosse da un direttivo poco “user friendly” e di certo non da chi i giochi li crea. Di chi sia la colpa dietro scelte tanto efferate è facile intuirlo: un creativo vorrebbe rendere la propria visione – l’opera che la sua mente ha partorito con tanta ispirazione – magnifica, più ricca possibile, desiderabile da qualsivoglia individuo. È improbabile quindi che tagli netti, aggiunte forzate e opzioni volte al mero guadagno partano dalla medesima fonte. Ne è una prova l’ottimo documentario Playing Hard su For Honor e i suoi creatori, prima pronti a spaccare il mondo e poi depressi dinanzi a qualcosa che era solo una raffigurazione castrata di ciò che avevano sognato. La vicinanza agli addetti ai lavori dovrebbe quindi essere un atto riconoscente da parte nostra e non a caso abbiamo menzionato gli sforzi umani. Non si dimentichino infatti le condizioni lavorative al limite del surreale nelle quali in moltissimi sono stati costretti a operare all’interno dell’azienda, spesso sfocianti in casi mediatici e class action (si vedano i retroscena di Mass Effect: Andromeda). Macchie di fango e tanta ombra non hanno fatto altro che accrescere la disistima di molti nei confronti del colosso fondato da Trip Hawkins. A tutto ciò si aggiunge un altro fastidiosissimo elemento, vale a dire la scomparsa di studi ai quali eravamo affezionati e la dipartita di saghe così come le conoscevamo. Chi è cresciuto adorando Need For Speed Underground non sarà esattamente soddisfatto di ciò che il brand è diventato, seppur potendosi ritenere più fortunato di chi invece amava Burnout. Parimenti, numerosi posti di lavoro sono saltati con la chiusura di studi prima acquistati, poi spremuti come pompelmi maturi e infine bruciati senza tante cortesie. I casi più recenti di Visceral Games, Maxis, Black Box, DreamWorks sono solo gli ultimi di un’ignominiosa lista. Per la gioia degli appassionati di giochi di ruolo, Bioware non ha ancora chiuso i battenti ma ciò non significa che riversi nelle più rosee delle condizioni. Proprio l’affetto nei confronti della suddetta ha spinto il sottoscritto a compiere un atto non convenzionale, un gesto deciso volto al sabotaggio dell’incontrastabile flusso monetario.”Il gioco è un pay to win, le microtransazioni sono diventate obbligatorie, hanno downgradato palesemente la grafica ed è pieno di bug. Non comprerò mai più un gioco di EA“. Quante volte vi sarà capitato di leggere sempre le stesse lamentele dei giocatori nelle sezioni dei commenti? Quasi come fosse un disco rotto, tali frasi ricorrono a ogni uscita di un titolo tripla A targato Electronic Arts, facendo sorgere spontaneamente alcune domande: non impari mai dai tuoi errori? Perché non ti sei informato prima? Se queste cose erano già sotto gli occhi di tutti, perché alla fine il gioco l’hai comprato lo stesso? È probabile che in molti, alla marzulliana maniera, si siano posti questi interrogativi e si siano dati da soli una risposta, salvo poi esaltarsi nuovamente dinanzi a un bel trailer in CG e ricascare nel medesimo errore. Chi vi scrive è riuscito a prendere coscienza di ciò proprio a causa di Bioware e a partire dal lontano 2015 non è più tornato indietro, non acquistando un singolo prodotto del publisher in questione.

Onde evitare spiacevoli equivoci: Dragon Age Inquisition è un ottimo gioco, fenomenale per certi aspetti, meno per altri (siamo comunque lontani dal glorioso Origins) ma fu comunque premiato come Game of the Year. Stiamo parlando di un grande single player, senza microtransazioni, loot box, comparto multigiocatore inutilmente invasivo e tagli drastici. Tutto questo ben di dio rappresenta il passato, una visione ormai abbandonata e disdegnata dal direttivo di Redwood, il quale sostiene con convizione che le esperienze narrative siano obsolete e che tutto il mondo desideri giocare online più di ogni altra cosa. Risultati e vittorie schiaccianti di titoli come The Witcher 3, Red Dead Redemption, God of War e altre epopee in giocatore singolo non sembrano aver sortito alcun effetto, anzi vengono costantemente oscurate da una specie di negazionismo interno. A causa di questa preveggenza vanesia e cieca, era piuttosto semplice aspettarsi un calo vistoso nella produzione di single player, i quali – poiché si è scelto di spostare il focus sui giochi a servizio – avrebbero subito pesanti colpi. Mass Effect: Andromeda è stato il primo brand, tanto caro al sottoscritto, a cadere: colpa di uno sviluppo travagliato, cambi di rotta repentini o idee poco valide? Non sapremo mai se una di queste o tutte e tre siano state le discriminanti del passo falso di Bioware e, sebbene Andromeda rimanga comunque un gioco discreto, la Normandy si è ormai allontanata fin troppo dal suo illustre passato. Comprenderete quindi l’apprensione circa il prossimo capitolo di Dragon Age, di cui si iniziano già a leggere indiscrezioni non proprio incoraggianti. I vari Need for Speed, Star Wars e Anthem sono solo alcuni dei giochi lasciati sullo scaffale, dei quali l’esito era già scritto fin dai primi filmati dell’E3. A rigor di logica, chi vi scrive potrebbe quindi dire: “Ho fatto bene”, pensando di aver riservato il proprio portafogli a prodotti più meritevoli. Sì ma anche no, poiché l’amaro in bocca c’è eccome: l’attesa per il prossimo titolo Bioware dovrebbe rendere l’atmosfera elettrica, dovrebbe spingerlo a cercare costantemente nuovi filmati e informazioni ma così purtroppo non è e non sarà. Tanta punitiva astinenza dai lidi di Electronic Arts è stata portata avanti per lanciare un messaggio, per far comprendere a chi di dovere che il parere dei giocatori conta e a parlare non sono solo indici e mercato. Questo monito da solo avrebbe avuto un impatto praticamente nullo ma se unito al malcontento di centinaia, migliaia di utenti, forse sarebbe servito a qualcosa.

Le acque infatti sembra siano state smosse (anche a causa di numeri davvero pietosi) e l’impensabile potrebbe addirittura realizzarsi proprio grazie al mondo dei Jedi. A far risorgere in me una scintilla di speranza ci hanno pensato i ragazzi di Respawn Entertainment, già padri dell’ottimo Titanfall 2. Jedi Fallen Order (annunciato il 13 aprile 2019) sarà un’esperienza in giocatore singolo, dove la narrazione la farà da padrona. Inutile dirvi come questa notizia abbia squarciato l’etere come un fulmine a ciel sereno, specie se ne si considerano il publisher e le sue idee circa i titoli di questo genere. Riuscirà quindi lo studio di Apex Legends sia a ridare lustro al mondo creato da Lucas – videoludicamente parlando – sia a migliorare l’immagine di EA agli occhi degli scontenti? Cosa ancor più importante, riusciranno i Jedi a farmi comprare nuovamente un prodotto di Electronic Arts dopo ben quattro anni di digiuno volontario? Solo il tempo saprà darci una risposta. Intanto una cosa è certa: far valere la propria voce, farsi riconoscere come ben più di una piccola percentuale, protestare contro ciò che non ci piace è possibile anche nel mercato dei videogiochi. Se solo tutti fossero più coerenti…

Ndr: le opinioni espresse in questo articolo appartengono espressamente al suo autore e non rappresentano in maniera alcuna il pensiero della redazione intera. Le considerazioni di cui sopra sono da intendersi come esclusivamente personali.

Ci sono 8 commenti

Moriet_Riberick

Un pensiero al quale mi unisco sottoscrivendo ogni punto dell’articolo. Prima dell’acquisto ho imparato ad informarmi bene sul valore di un prodotto. L’avanzare dell’età mi ha reso più saggio, o semplicemente ho compreso il reale valore dei soldi. 😉🍻

Vigil

Concordo su tutto. L’EA di oggi è lontana da quella conosciuta quando ero più giovane. Nel corso degli ultimi anni hanno distrutto varie saghe (NFS,mass effect e dragon age) e creato altre orientate solo sul multiplayer. Speriamo che jedy:fallen order faccia capire ai capoccia di EA che i titoli single player attirano ancora ( già i giochi citati nell’ articolo avrebbero dovuto farlo capire a quelli di EA).

Vitbull88

I “game as a service” per me dureranno ancora un po’, purtroppo la mole di giocatori (molto giovani, credo) che spende i propri soldi in questi servizi è tale che, da un punto di vista di profitto IMMEDIATO, le aziende tenderanno a monetizzare gli utenti in questo modo il più possibile. MA gli utenti cresceranno, le mode finiranno, la voglia di belle storie crescerà, e credo (e spero) che i single player torneranno a farla da padrone.

CastroStark

Ciao devo ammettere di essere d’accordo con te! Purtroppo EA games ha intrapreso una direzione che accontentava forse la loro volontà (Giusta?!) di vendere, e forse, senza rendersi realmente conto della qualità dei propri prodotti e sopratutto dei giocatori!

Credo, come dici anche tu nel tuo articolo, che forse con SW vedremo una luce in fondo al tunnel! O almeno penso è quello che tutti vogliamo!

Comunque davvero complimenti con l’articolo!

(PS Titanfall non è stato malvagio!E devo ammettere che Andromeda non mi è dispiaciuto, anzi!)

MicheleLM

Standing Ovation per l’autore di questo editoriale, condivido ogni parola! Visto la già sicura assenza del multiplayer per il nuovo titolo di Star Wars voglio dare un segnale positivo, indicativo della giusta direzione da percorrere, prenotando il gioco!

FitzGeralt_of_Panormus

Mi appecorono alla bellezza dell’articolo.
Anchio io boicotto EA, o meglio, la boicotto in maniera diretta; infatti, se mi interessasse un gioco pubblicato da loro, attendo una copia usata nel mio negozio di fiducia; per i giochi digitali invece, attendo sconti ‘stracciamutande’ del PS-Store (di solito 5 euro o anche meno)

Laconfir

Anch’io ho adottato una politica analoga, e in linea di massima da qualche anno evito di acquistare titoli pubblicati da EA. Come molti altri, anche io sono rimasto scottato dalla bruta piega presa da Deagon Age e Mass Effect.
Quanto alla prima, amai veramente Origins, all’epoca mi parve un grande ritorno dei titoli alla Baldur’s Gate, una nuova età dell’oro dei WRPG per PC degli anni 2000. Poi uscì DA2. Imbarazzante; affrettato; straripante di asset riciclati e poco rifiniti. Non l’ho mai finito. Il terzo capitolo non l’ho comprato.
Mass Effect ha un posto speciale nel mio cuore. Il primo capitolo, sebbene non fosse un prodotto pienamente rifinito sul lato action (i pianeti tutti uguali, la pistola OP…), lo consumai letteralmente: l’ambientazione mi prese veramente tanto, e ogni occasione di sapere qualcosa di più su quell’universo era un nuovo spunto; addirittura mi lessi un paio di romanzi. Il secondo capitolo, per me, è stato l’apice della saga, perfezionava tutti i punti dolenti del primo capitolo, sviluppava il mondo di gioco, offriva un gruppo di comprimari memorabile e aveva una chiusura veramente epica. Però si iniziava già a vedere lo zampino delle brutte prassi di EA, con un discreto numero di (costosi) DLC post lancio dai contenuti non sempre all’altezza (bellissima comunque l’espansione “shadow broker”, soldi spesi bene). Il terzo capitolo della trilogia, purtroppo, mi ha fatto capire come la china imboccata fosse irreversibile: DLC al da one con contenuti fondamentali per apprezzare appieno la storia, finale scritto di corsa e patchato a furor di popolo due mesi dopo l’uscita, un numero imprecisato di DLC che messi insieme costavano il doppio del gioco; l’abbandolo del lead writer dei primi due capitoli non ha aiutato. Di Andromeda ho seguito con cauta attenzione lo sviluppo, ma il titolo non è mai riuscito a suscitarmi l’hype provato per la trilogia di Shepard, e alla fine il gioco non l’ho comprato proprio.
Questo è quello che succede agli studi comprati da EA. Se devo pagare per vedere le saghe che amo massacrate, preferisco tenermi il ricordo dei bei giochi passati piuttosto che l’amarezza per un titolo nuovo fatto da chi non riesce a vedere oltre il nudo profitto.

Lascia un commento