Storia di un pomeriggio preistorico per i videogiochi

Mai programmare una sessione intensiva di gioco: la Legge di Murphy incombe!

Editoriale di Dario Vanacore

Essere un videogiocatore al giorno d’oggi è innegabilmente semplice: basta andare in un negozio che venda materiale elettronico (o anche armeggiare da casa con la proria carta di credito, ndr), munirsi della piattaforma che rispetti le proprie esigenze ludiche, acquistare il videogioco o i videogiochi più adatti ai gusti personali e, in pochi semplici passaggi dedicati al montaggio il tutto è fatto. Si viene quindi connessi a un universo ludico dalle infinite possibilità, dove le distanze vengono abbattute in pochi millisecondi (a seconda del ping): il merito va ovviamente allo sdoganamento dei diversi mezzi a disposizione, con le linee ADSL o quelle ancora più performanti che sfruttano la fibra che permettono a tutti di interfacciarsi con tutti, in un mosaico assolutamente fluido in dinamico divenire.

Ci sono momenti però in cui tutte queste certezze vacillano, e in cui anche il mondo dei videogiochi deve fare i conti con un downgrade (momentaneo, per carità) che è costantemente dietro l’angolo, e che rischia di catapultarci istantaneamente indietro di almeno una quindicina abbondante di anni. È il momento insomma in cui l’impalcatura che regge il tutto vacilla, offrendo il fianco alle immancabili critiche ma suscitando lo sdegno di tutti quei giocatori che si ritrovano a essere confinati tra le quattro mura domestiche, senza possibilità d’interazione alcuna. È il momento in cui la connessione di rete non fa il suo lavoro. [Luci, musica triste, sipario].

È un po’ quello che è successo negli ultimi due giorni: non puntiamo il dito contro nessuno, sia chiaro, questa non è un’invettiva quindi non scenderemo nei particolari. Basti sapere che un operatore telefonico, che chiameremo per comodità PincoPallo (lo dico io: Telecom Italia NdTanzen), ha “appiedato” i propri utenti con disfunzioni generali che hanno inficiato la possibilità di prender parte anche solo a una singola partita online. Non un dramma, direte voi: quante volte è capitato in passato con il PC, con gli ambienti in rete momentaneamente preclusi che portavo a sfogare la propria rabbia repressa sull’immancabile 3D Pinball Space Cadet, il flipperino digitale vero e proprio punto di riferimento della generazione XP. Di prodotti che sfruttano il single player sono piene le librerie delle diverse piattaforme: basti pensare ai soli God of War e Far Cry 5, giusto per fare due esempio banali dell’ambito dei videogiochi approdati di recente sugli scaffali.

Sfortuna vuole però che la mia “scimmia” attuale sia per Destiny 2 e Rainbow Six Siege, due videogiochi che praticamente il single player non sanno nemmeno dove sia di casa, e che sfruttano in maniera (forse anche eccessivamente) elevata le potenzialità messe a disposizione dalla rete. Una rete che, nella giornata di ieri, ha intrappolato me e immancabilmente molti altri tra voi che leggete, abbonati al servizio di PincoPallo(e daje, TELECOM ITALIA NdTanzen), in un loop che alternava imprecazioni e sconforto generale.

L’odissea videoludica di chi vi scrive è iniziata nel pomeriggio dell’altro ieri. Mi dedico all’ultima missione in solitaria del secondo DLC di Destiny 2, La Mente Bellica e, mentre mi sto godo il meritato filmato finale, puff. Kickato alla schermata iniziale, con scritta che segnalava le problematiche di connessione ai server. Provo a riconnettermi e nel frattempo reperisco sul “Tubo” il filmato in questione, ormai di certo irrecuperabile all’interno del gioco (maledetti, ndr). Poca roba alla fine, un piccolo cliffhanger che lascia spazio all’interpretazione personale dei giocatori.

Nel frattempo procedono serrati i tentativi per rientrare in possesso delle facolta ludiche di Destiny 2, ma i risultati sono sempre gli stessi: errore nel tentativo di connessione ai server. Le ricerche in rete sono quindi rivolte a dare un senso al tutto. Sono solo io? È un problematica generale?

Ebbene non sembrerebbe essere un patema che affligge solo i videogiochi, ma è l’intera struttura di PincoPallo (Telecom Italiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa NdTanzen) a traballare, con le conseguenze che quindi si abbattono su tutti i giocatori che cercano di connettersi alla più disparata risma di titoli. Me ne faccio una ragione (sì, col piffero! Ndr) e passo ad altro: nonostante abbia ancora giochi da cominciare, il bambino che è in me vuole ciò che non può ottenere, e quindi mi dedico a fumetti, serie TV, passando compulsivamente dagli uni agli altri. Nel frattempo passano una manciata di ore e, dopo un pisolino che non fa mai male, provo di nuovo a lanciarmi nell’orbita di Marte in Destiny 2. Nulla da fare, siamo sempre punto e a capo.

Fortuna vuole però che nella serata di ieri l’altro avessi già da fare, quindi mi allontano dalla PlayStation 4, sul cui capo pendeva pericolosamente la scure del boia (don’t try this at home, ndr): un’altra vittima designata di PincoPallo (T E L E C O M I T A L I A ndTanzen), che si sarebbe aggiunta al pomeriggio di gaming selvaggio gettato al vento. Un’uscita che ha riportato i livelli di rabbia videoludica nella norma e che, guardando i dati delle problematiche di PincoPallo (… ndTanzen), mi ha evitato anche il momento in cui c’è stato il picco massimo di disfunzioni (e di imprecazioni), dove probabilmente anche il fidato Netflix sarebbe risultato inservibile.

Un ritorno al mesozoico videoludico in sostanza, con annessi tutti i disservizi del caso che hanno afflitto i titoli che vivono grazie alle proprie meccaniche in rete. Come se per un pomeriggio fossi stato Will Smith in Io Sono Leggenda. Solo che in questo caso il mio compagno di viaggio non era un cane ma una console, che voleva abbaiare in rete ma si è riscoperta afona.

Lascia un commento