Nonostante vi siano stati moltissimi platform bidimensionali durante l’epoca 8 e 16 bit, due sono stati quelli che si sono distinti di più: Mario e Sonic. Tuttavia il loro successo non fu dovuto solo al carisma di questi personaggi, quanto fatto che entrambe le serie poggiavano su elementi di game design e level design che ne rendevano uniche le rispettive giocabilità anche in uno sconfinato panorama di imitatori.
Partendo dai capitoli bidimensionali, si può osservare come l’idraulico e il porcospino siano diversi su entrambi gli aspetti succitati. Mario non ha una trovata specifica su cui basarsi, anzi, ne ha una, ma verte sui potenziamenti raccoglibili che gli conferiscono ogni volta un’abilità diversa. Siamo abituati al fungo che gli permette di incassare un colpo gratuitamente, al mantello che lo fa planare aumentando la lunghezza dei salti, il fiore che gli fa lanciare palle infuocate e via andare. L’idea alla base di Mario quindi non ruota attorno ad una singola caratteristica e può essere rielaborata di capitolo in capitolo a seconda delle idee degli sviluppatori.
Questo è un aspetto importante, in quanto si collega strettamente al concetto di level design. Ricordiamo che nel game design si decide cosa si può fare nel gioco e come farlo, mentre nel level design si articola la progettazione di un livello esplorabile e il modo in cui il giocatore potrà progredire lungo di esso. I due aspetti si fondono dunque, perché se attraverso il game design decido quali saranno le capacità di Mario e cosa potrà fare, cambierà di conseguenza anche il level design, permettendomi di implementare un diverso tipo di ostacoli, piattaforme e stabilire come far proseguire il protagonista e con quali ritmi. In base a questo ogni capitolo di Mario può rinnovarsi liberamente, senza dover riprendere per forza un’idea precedente. Un esempio è Yoshi’s Island, ludicamente molto diverso da Super Mario World, nonostante ne sia il seguito diretto. Anche Sonic nei seguiti incamera l’idea delle abilità speciali, sotto forma di scudi (quello elettrizzato, quello incendiario) che attivano caratteristiche o mosse speciali (il doppio salto, la palla di cannone, l’invulnerabilità al fuoco o l’attrazione degli anelli), ma rimangono di portata più marginale nell’economia del gioco.
In Sonic le cose si fanno differenti su altri aspetti: il personaggio viene plasmato tenendo centrale l’idea di velocità, di conseguenza ci troviamo di fronte un aspetto irrinunciabile o quasi, da reintrodurre in ogni capitolo successivo e che non può essere scartato (almeno in teoria).
Questa scelta si è rivelata ottima quando la serie era studiata per girare in un contesto bidimensionale, in quanto tali livelli permettevano di implementare una fisica e un’inerzia che enfatizzasse bene la sensazione di velocità e mantenendola armoniosa nella giocabilità. Il ritmo di gioco però non è l’elemento unico e distintivo dei capitoli 2D, i quali sfoggiano un level design esemplare per tutti quanti i platform 2D.
L’idea che Sonic andasse giocato unicamente sfrecciando di corsa da inizio a fine livello è una falsa credenza, maturata forse da qualche partita occasionale e distratta, ma che gli sviluppatori stessi hanno voluto far comprendere in modo palese che fosse solo uno dei modi di approcciarsi al titolo. Sin dalla prima zona infatti si può notare come durante uno dei giri della morte, o in prossimità di alcuni passaggi, siano presenti delle piattaforme sopraelevate e degli anelli apparentemente irraggiungibili, qualora ci si limiti a correre in avanti. Che cosa significa questo? Che ci sono altre piattaforme, con altri bonus, passaggi e segreti da scoprire. In quei punti dunque bisogna interrompere la frenesia della corsa e dedicarsi all’altro aspetto chiave del gioco, il salto e l’esplorazione.
Allo stesso modo in alcuni punti è possibile buttarsi giù da alcuni dirupi per scoprire o raggiungere aree che non sono burroni mortali, ma passaggi sotterranei, a loro volta zeppi di nemici, premi da raccogliere o accessi ai livelli segreti dove recuperare gli smeraldi del caos. Sia le zone sopraelevate che quelle sotterranee creano quindi delle corsie alternative da percorrere per arrivare alla fine del livello, componendo sovente una sorta di autostrada a tre altezze e tre corsie, le quali si intersecano pure tra loro.
Questo dona al level design di Sonic una componente importantissima e di più ampio respiro rispetto a Mario: la verticalità. Se in molti giochi di Mario la verticalità è solo un passaggio parte di una progressione comunque lineare, in Sonic questa caratteristica crea dei veri e propri bivi, molto utili a garantire la rigiocabilità e una profondità nella struttura dei livelli. In Mario ci sono passaggi sopraelevati o inferiori, ma sono più zone di accesso a stanze segrete o scorciatoie, non vere e proprie corsie per esplorare con continuità un livello.
Utile sottolineare come l’idea di verticalità sia tipica della cultura giapponese delle grandi metropoli. In molte regioni e specialmente nella baia dove sorge la capitale nipponica, il terreno edificabile è poco a causa di una conformazione geografica che ha spinto la popolazione ad estendere le città più verso l’alto, che in orizzontale. Basti fare un paragone tra una Los Angeles (dove tanti quartieri hanno case di a malapena un piano o due), con Tokyo, dove i grattacieli si sprecano, al punto che persino molti negozianti devono alloggiare le loro attività al terzo, quinto, o ottavo piano di un palazzo, non trovando spazio al pianterreno.
Questo sviluppo in verticale della vita cittadina in un certo senso è stato riprodotto anche nel videogioco di SEGA.
Nel passaggio dal 2D al 3D però c’è stata una seria difficoltà nel reinterpretare il concetto di velocità in un ambiente tridimensionale. Durante l’intera generazione Saturn non escono titoli 3D dedicati a Sonic, mentre i primi episodi arrivano in forte ritardo con i due Sonic Adventure su Dreamcast. Per Mario invece è stato semplicissimo fare tabula rasa in ogni singolo capitolo delle idee precedenti e inventarne di nuove da usare come perno attorno a cui sviluppare la giocabilità di volta in volta. Mario 64 infatti è un contenitore misto di elementi platform, ma non troppo focalizzato su di una singola cosa. Trattandosi del debutto dell’idraulico baffuto nel 3D, Shigeru Miyamoto puntò ad un gioco che avesse lo stesso effetto di Super Mario Bros per i platform 2D. Ogni livello ha un suo tema, Mario può fare diverse cose, tuttavia non c’è un tema centrale “forte” tale da connotare il modo di giocare lungo tutte le aree. Questo è un punto non indifferente, perché ha permesso agli sviluppatori di avere una base di partenza che non fosse troppo complicata da gestire nella costruzione della giocabilità, dovendo già affrontare la difficile sfida di traghettare la serie nella tridimensionalità (con sistema di telecamera, cambio degli hitbox in 3D, animare i poligoni, etc.).
I capitoli successivi hanno poi potuto osare maggiormente, ritornando all’idea di inventare qualcosa di nuovo e caratteristico di volta in volta: citiamo Super Mario Sunshine (con il sistema basato sul getto d’acqua e la libertà di esplorazione), Super Mario 3D World (la cooperativa), Super Mario Odissey (usare Cappy per sfruttare i nemici a proprio vantaggio) sino alla bilogia di Super Mario Galaxy, che in termini di creatività, nel suo essere fuori dagli schemi rispetto al resto della saga, rimane l’esempio migliore di game design originale nei platform 3D.
Una tale varietà di rinnovamento infatti non è stata ugualmente integrabile nei Sonic 3D invece, i quali hanno ottenuto risultati migliori quando si attenevano alla formula classica basata sul connubio tra velocità e platforming (come in Sonic Adventure, Sonic Colors, Sonic Generations o Lost World). I capitoli invece più controversi e meno riusciti aggiungevano meccaniche che finivano per incastonarsi male nel ritmo o nel funzionamento generale (basti pensare ai sistemi di combattimento con la spada o le combo a pugni di Sonic and the Black Knight e Sonic Unleashed, o la coop inserita forzatamente in Sonic Boom o i controlli motori di Sonic e gli Anelli Segreti).
Si può quindi dire che il non aver dato sin da subito una caratteristica precisa a Mario, ne ha semplificato l’operazione di rinnovamento nel momento in cui se ne è dovuta ricreare la giocabilità tridimensionalmente. Abbiamo descritto come questo passaggio in realtà non sia automatico, dato che certi tipi di giocabilità e certi elementi di game design, non è detto funzionino ugualmente bene nel passaggio tra 2D e 3D o siano integrabili con altri (se ne parlava nella retrospettiva sul Saturn, dove si è ricostruito il complicato passaggio dell’industria di quel periodo). Un esempio difatti può essere stato il dover transitare la velocità in un platform 3D; all’inizio non fu evidentemente semplice, tanto da far slittare l’uscita dell’atteso Sonic eXtreme e fargli mancare per intero un episodio nella generazione 32 bit. In seguito il problema si esplicò nel coniugarla con un sistema di combattimento diverso dal solito o con trovate nuove. Complicazioni invece assenti nella saga Nintendo.