Il favoloso mondo dei cabinati

Una storia di nostalgia, anni '90 e cabinati. Tra competizioni agguerrite e rumori soffocanti, avveniva la magia. Parte 1

Rubrica di Giulio Baiunco

Capitolo Uno

“Maledizione” dico tra me e me.

Alle tre spaccate ho un appuntamento con Franz, Paxton e Pearl e ancora non ho i soldi per potermi presentare. E che figura ci faccio poi? Devo assolutamente escogitare il modo per farmi dare la paghetta o, alla peggio, avrei trovato qualcosa in giro nella mia stanza. Saluto i miei amici davanti la scuola e mi avvio per raggiungere casa e non mi resta che pensare al modo in cui estorcere monete in anticipo ai miei. Potrei dirgli che mi servono per un libro o per un quaderno, no, non funzionerebbe e poi che senso ha mentire? Dovrei dirgli la verità e loro dovrebbero sostenermi nel fare ciò che mi piace. A 15 anni sono abbastanza grande da poter comprendere come spendere al meglio i miei spiccioli, solo che la maggior parte della gente ancora non capisce quanto possano essere magnifiche quelle strutture gigantesche con all’interno un mondo in cui tuffarcisi. Tutti vedono solo violenza, sangue e cattivi esempi, ma non riescono a trovare la bellezza in un universo favoloso nel quale è possibile far vivere i propri sogni. E poi oggi è arrivato un nuovo cabinato, non vedo l’ora di sapere di cosa si tratta.

Capitolo Due

“Non ci pensare nemmeno”. Quella è stata la prima risposta di mia madre non appena le ho detto che sarei andato in sala giochi, forse sarebbe stato meglio mentire. Mi chiudo in camera e mi sdraio sul letto, qui occorre riflettere. Comincio a pensare a tutti i posti nel quale potrei trovare degli spiccioli, guardo sotto il letto, sopra le mensole e addirittura sotto i libri di scuola, ma niente. Tutta fatica sprecata. Ormai sono quasi le tre, non farò in tempo. Rimango qui, ad assaporare il bianco smunto del tetto e a crogiolarmi sotto le coperte. Un momento… una lampadina mi si accende all’istante, come se la memoria fosse tornata in superficie dopo un lungo letargo. Dentro la gabbia in vetro di Liz, la mia lucertola da compagnia, avevo messo delle monete d’argento giusto per abbellire quel luogo spartano e asettico. Apro con cautela il coperchio, evitando di toccarla e di farla uscire. Con accortezza, e una tensione costante, infilo la mano lentamente e, non appena afferro il metallo, si gira verso di me e si avvicina, con un riflesso istintivo la ritiro e richiudo la gabbia di fretta. “Ti ho fregata”.

Capitolo Tre

Parcheggio la bici nel vicolo dietro l’angolo e, con un misto di eccitazione e terrore, mi avvio verso la sala giochi. Non riesco a credere ai miei occhi, la fila arriva quasi al termine dell’isolato. Disperato, cerco lo sguardo della mia combriccola e afferro lo sguardo con Pearl.

“Dove sei stato” mi dice Franz.

“Ho avuto da fare, ma adesso sono qui, no?”

“Sì, certo come no. Almeno tu hai saltato la fila”

“A proposito, come mai tutta questa gente?”

“Lo scoprirai presto” disse Pearl, interrompendo Franz che stava per svelarmi tutto.

Ormai non riesco a stare nella pelle, questa fila è estenuante, perlomeno ci sono loro a tenermi compagnia e tra risate e scherzi il tempo passa in fretta. Salgo il gradino che divide il noioso mondo reale da quello che è una favola, un sogno che diventa realtà. Ogni volta che metto piede qui dentro, è come la prima volta. La vista viene bombardata di luci e colori, l’atmosfera è buia, per mettere in risalto la luce emessa dagli schermi e le sfumature degli sprazzi luminosi mi fanno sentire vivo e immerso in qualcosa di unico. Le orecchie sono martellate da un continuo missaggio di musiche e colonne sonore provenienti da ogni cabinato che si trova all’interno della sala, restituendo all’udito una sinfonia magica, realizzata dal peggior tecnico audio. Sporgendomi dalla fila senza uscire fuori, osservo il nuovo cabinato inserito al centro per farlo spiccare sugli altri e noto i colori cupi e la scritta illeggibile da così lontano. Man mano che la fila avanza, il mio battito cardiaco aumenta e l’adrenalina è alle stelle. Non vedo l’ora di inserire la moneta dentro quella macchina.

Capitolo Quattro

“Eddai spostati” annuncia un ragazzo sulla ventina che mi supera, forse perché sembro fin troppo imbambolato, solo perché ero rimasto a osservare in modo magnetico quella magnificenza. Mi tocca aspettare di più, non ho il coraggio di mettermi contro un ragazzo più grosso di me. Difficilmente le persone che stanno giocando cedono il posto ad altri, almeno fin quando non consumano tutti i quattrini che si ritrovano nella busta. Coloro che sono davanti a me hanno una busta zeppa di monete da spendere fino all’ultimo centesimo in quel cabinato. Le ore passano e lentamente la fila si rimpicciolisce. Finalmente riesco a leggere il nome: Street Fighter II. Qualche anno prima avevo provato il precedente, ma non mi aveva entusiasmato così tanto. Volevo a tutti i costi capire cosa attirava la gente in modo così ossessivo, dato che dietro di me le persone continuano ad accumularsi. Ormai ho perso la cognizione del tempo, ma mi ritrovo l’arcade davanti. Appare così sofisticato, le partite precedenti che ero riuscito a osservare avevano qualcosa di magico, dei personaggi così piccoli da così lontano, eppure così differenti tra loro e con dei colpi speciali pazzeschi. E poi non parliamo delle animazioni, delle musiche e dalla grafica: erano incredibili. Chi metteva le mani sui tasti, le agitava in modo compulsivo, dovendo sostenere i ritmi frenetici e la reattività per non farsi colpire. E’ il mio turno. Ciò che avevo desiderato fare da quando ho aperto gli occhi stamattina, me lo ritrovo davanti. Infilo la moneta e premo 1P Start.

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