In passato abbiamo già affrontato le fonti d’ispirazione di Hidetaka Miyazaki, sia nella letteratura gotica che nella mitologia. Lo faremo anche stavolta, mettendo però da parte i classici come Tolkien, Bram Stoker, Lovecraft, così come Kentaro Miura e Go Nagai, per rovistare con maggior attenzione tra gli scaffali della biblioteca personale del visionario game designer di From Software, spulciando tra i suoi libri prediletti e quelli fondamentali nella sua formazione, dal pop alla saggistica.
Sebbene fossero il passatempo preferito e più diffuso tra gli adolescenti giapponesi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, i videogiochi non erano visti di buon occhio dai genitori di Miyazaki. Inoltre, le ristrettezze economiche del nucleo familiare rendevano impossibile l’acquisto di una console o un home computer. Per questa ragione il futuro game designer si approcciò seriamente ai videogiochi in età più avanzata, durante gli studi universitari. La sua creatività e la sua fantasia vennero perciò inizialmente forgiate dal fantasy letterario di stampo occidentale, dai giochi in scatola, in particolare i GDR, ma soprattutto da un prodotto che integrava l’aspetto ludico e ruolistico nella lettura, ovvero i leggendari libri game. Tra le numerose saghe disponibili, Miyazaki indica sempre la tetralogia di Steve Jackson “Sorcery!”, da noi conosciuta come “Sortilegio”, come una delle opere di maggior impatto per la creazione dei suoi mondi immaginari. Una scelta non banale, né tantomeno casuale, dinanzi alla moltitudine di serie e mini-serie legate a questa sottocategoria cartacea dell’universo dei giochi di ruolo.
La saga “Sortilegio” fu anche la prima (e la preferita) del sottoscritto, dopo aver inizialmente scartato un classico del genere, ovvero “Lupo Solitario” di Joe Dever, scoraggiato dalla sua lunghezza (oltre 30 volumi), così come la collana dedicata al mondo di D&D, poiché costituita principalmente da opere autoconclusive. “Sortilegio” catturò inizialmente la mia attenzione per le cupe copertine di John Blanche, famoso illustratore dell’universo di Warhammer, che propongono una tanto oscura quanto piacevole alternativa al fantasy medievale disegnato del celeberrimo Larry Elmore.
I lavori di Blanche delineavano perfettamente l’ostile ambientazione creata da Steve Jackson: una terra quasi esclusivamente popolata da creature immonde che doveva essere attraversata dal nostro protagonista, un non specifico e assai silenzioso mago-guerriero, per raggiungere una fortezza abitata da un temibile arcimago, in possesso di una magica corona in grado di riportare pace e prosperità. “Sortilegio” aveva la fama di essere una saga estremamente difficile e punitiva rispetto alla media. Solo successivamente venni a sapere che l’opera era stata ideata come sequel spirituale dedicato ai lettori/giocatori veterani della serie “Fighting Fantasy” (da noi “Dimensione avventura”).
Fin dalle prime ore di gioco, Dark Souls mi riportò alla mente l’esperienza di “Sortilegio” finita nel dimenticatoio da almeno un paio di decenni e fu assai sorprendente scoprire qualche anno più tardi che la mia non fosse soltanto un’impressione: per l’atmosfera che si respira nel gioco, Dark Souls rappresentava una versione videoludica di “Sortilegio”.
Come molti si ricorderanno, alcune ore dopo la prima presentazione di Elden Ring, durante l’E3 2019, Miyazaki intervenne personalmente per commentare il coinvolgimento di Gerge R.R. Martin all’interno del progetto. Se la stima nei confronti del più celebre autore fantasy vivente fosse più che mai scontata, il game designer giapponese stupì nuovamente i fan menzionando un romanzo di Martin tra i suoi libri preferiti in assoluto, anziché la pur sempre apprezzata saga di ASOIAF. “Fevre Dream”, pubblicato in Italia con il riprovevole titolo “Il battello del delirio”, è il terzo libro dello scrittore americano scritto nel 1982, quasi quindici anni prima de “Il Trono di Spade”.
Si tratta di un’interessante opera dove un Martin agli esordi mostrava già la sua abilità nel saper mischiare le carte in tavola: un romanzo sui vampiri ambientato intorno alla metà dell’800, secondo la miglior tradizione gotica europea, ma ambientato lungo il Mississippi e le sue celebri imbarcazioni fluviali a ruota, territorio più consono a racconti legati alle paludi della Louisiana o alla tradizione Voodoo.
Inoltre, al posto delle classiche demoniache creature notturne, Martin affrontava il tema del vampiro da una prospettiva antropologica, in una vicenda che ruota attorno alla possibilità di trattare la dipendenza da sangue come una malattia da curare (da lui chiamata “la sete rossa”). Non è necessario aggiungere altro per non incorrere in qualche spoiler, ma tanto basta per capire quanto questo romanzo sia stato importante per la creazione della lore di Bloodborne. Si tratta di una lettura che, personalmente, ha lasciato alquanto perplesso: a fare da contraltare alla scrittura prolissa e lenta soprattutto durante la fase iniziale, tipica della narrazione di Martin, vi sono l’atmosfera angosciante, la cura per i dettagli, così come l’ottima caratterizzazione dei personaggi.
Durante le prime pagine, in attesa di entrare nel vivo della vicenda, mi sono chiesto come sia stato possibile che un’opera del genere fosse passata inosservata in favore della narrativa vampiresca moderna della regina indiscussa Anne Rice, o de “Le Notti di Salem” di Stephen King. Pensiero smentito con il procedere della storia, che a parer mio stenta a decollare, spesso perdendosi in situazioni ed episodi poco avvincenti e marginali. Sappiate però che la mia è un’opinione che va in controtendenza con la stragrande maggioranza delle recensioni entusiastiche riscontrabili sul Web. Tuttavia, il fervore postumo al successo di ASOIAF, mi lascia assai dubbioso. Non sarebbe la prima volta che accade (avete presente “Il seggio vacante” della Rowling?).
Nel reparto saggistica della biblioteca di Miyazaki troviamo “L’Occulto. Magia. Storia della magia. I poteri latenti dell’uomo”, un volume piuttosto singolare, scritto da un altrettanto eccentrico autore britannico. Colin Wilson, prolifico saggista e romanziere, ha condotto per decenni una ricerca volta a rivelare l’esistenza di una condizione umana, una sorta di “supercoscienza” confinata dal processo evolutivo in un senso latente da lui definito “Facoltà X”. Attraverso questo compendio, Wilson espone episodi di “esperienza aumentata” nella storia della letteratura, dell’arte e della filosofia. Si tratta di un’opera di culto nel circuito esoterico e spirituale, spesso elevata al pari de “Il Ramo D’Oro” di James Frazer. Coloro che sono al di fuori della sfera ermetica troveranno probabilmente la lettura alquanto faticosa.
Il saggio risente del peso degli anni (1971), in termini di scorrevolezza, e la mancanza di una qualsiasi forma di analisi razionale eleva un muro invalicabile a chiunque desideri approfondire. Da semplice curioso ho affrontato quest’opera diversi anni fa con estrema fatica, ma è molto probabile che per entrare in contatto con gli studi di Wilson il punto di partenza sia da ricercare altrove, non solo tra la sua generosa bibliografia. Ad ogni modo, è innegabile la presenza di riflessioni mistico-spirituali nei giochi di Miyazaki, soprattutto in Bloodborne in cui, come già descritto in passato, non mancano rimandi a “… dottrine e rituali rivolti ad espandere la realtà trascendendo il mondo dei sensi”.
Tra i saggisti più apprezzati di Miyazaki troviamo anche il nostro illustre e compianto Umberto Eco, che con gli studiosi di esoterismo non aveva un rapporto così idilliaco, tanto da soprannominarli sarcasticamente “diabolici” all’interno del suo capolavoro “Il Pendolo di Foucault”. Il contributo di Eco è a dir poco fondamentale nella visione e nell’interpretazione del giocatore dinanzi al contesto narrativo di Miyazaki. Un modus operandi che il visionario designer giapponese aveva già coltivato sin dall’infanzia quando usava la propria immaginazione per completare buchi narrativi generati dalla difficile comprensione dei racconti in lingua straniera reperiti in biblioteca. La celebre citazione di Miyazaki “un mondo ben progettato racconta la sua storia in silenzio” richiama senza alcun dubbio l’invito alla cooperazione interpretativa nei testi narrativi esposta da Eco nel saggio “Lector in Fabula” (e successivamente in “Sei passeggiate nei boschi narrativi”):
“Un testo è un ‘meccanismo pigro’ che necessita di un lettore che sappia riempire gli spazi di ‘non detto’ e collabori alla costruzione del significato. Il testo guida il lettore in questo percorso di cooperazione interpretativa attivando delle strategie narrative precise. Il Lettore Modello è colui che sa stare al gioco dell’Autore Modello. Lettore e Autore Modello si distinguono da lettore e autore empirico. Dopo aver investigato i meccanismi testuali che intercorrono fra lettore e autore, questo lavoro prova a cogliere dei parallelismi fra essi…”.
Miyazaki, da ‘autore modello’ non limita quindi né controlla la narrazione o il suo background, impedendo al lettore “…di stare sempre accanto, sempre addosso, sempre alle calcagna del testo…“. Un formula che si è perfettamente integrata nell’epoca del Web, ancor prima dei social, tra forum e pagine correlate, dove i ‘giocatori modello’, attraverso scarni dialoghi e descrizioni di oggetti presenti nel gioco, hanno collaborato allo sviluppo della fabula, confrontando le proprie riflessioni e azzardando ipotesi per un impianto narrativo e un mondo credibili.
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