Oltre il videogioco: The Last Guardian, il destino dell’empatia

Uno dei videogiochi più controversi e travagliati degli ultimi anni racchiude in sé un messaggio che arriva nelle profondità degli animi e della società moderna.

Oltre il Videogioco di Antonio Stephan's Di Stefano

The Last Guardian o più semplicemente “cataclisma”. Parlare di questo videogioco rappresenta una delle sfide più ardue che potessi affrontare, non tanto per la tempesta mediatica che il titolo ha attraversato sin dalle sue prime fasi di sviluppo, quanto per l’importanza del messaggio in lui racchiusa: una pietra miliare incastonata nel cuore di chi lo ha apprezzato, uno spaccato tra individuo e società che gli è ostile ma che allo stesso modo lo rappresenta. Vi consiglio caldamente l’ascolto della canzone proposta nella rubrica per la miglior esperienza di lettura dell’articolo. Questo è Oltre il Videogioco: The Last Guardian, il destino dell’empatia. 

 

Due, come il cielo e le ali

Avrei voluto iniziare dicendo che è sbagliato considerare The Last Guardian soltanto un videogioco e tutto sarebbe stato più facile se fossi partito con questa premessa, il punto però, è che per poter apprezzare appieno l’opera di Fumido Ueda è indiscutibilmente esatto partire dalla sua natura assolutamente imperfetta.

The Last Guardian è un videogioco tecnicamente mediocre, sviluppato inizialmente su Playstation 3, che per vicissitudini troppo lontane dal videogioco stesso è uscito sulla console successiva sfruttando evidentemente ben poco della potenza messa a disposizione dall’ammiraglia Sony del momento. Come un piccolo lottatore dal grande potenziale, The Last Guardian è riuscito sin dalle prime fasi a farmi soprassedere sulla potenza di calcolo di Playstation 4 rimasta inutilizzata per lasciarmi travolgere dalla potenza emotiva.

L’opera è il racconto delle vicissitudini di un bambino prescelto ed una curiosa creatura che il bambino chiama Trico. Sin dalle prime battute si rimane rapiti dalle ambientazioni oniriche che fanno da contorno alla crescita emotiva tra i due. Il messaggio del videogioco è tuttora tenuto segreto dallo sviluppatore, anche se ciò non fa che avvalorare la chiave di lettura che fino ad oggi ho tenuto come caposaldo dell’esperienza: The Last Guardian rappresenta l’interpretazione dell’empatia in senso individuale attraverso il rapporto tra Trico ed il bambino, per poi allargarsi socialmente mediante gli altri Trico che scopriremo lungo il corso del viaggio.

 

L’approccio

Il rapporto tra i due protagonisti parte da molto lontano, quando sin dalle prime fasi del risveglio del bambino controllato dal giocatore si è tenuti a compiere il primo passo volto all’inizio di un rapporto di empatia:

     liberarsi dalle catene.

Inizialmente scontroso e spaventato, Trico si troverà costretto nel giro di pochi minuti a doversi arrendere alle esigenze del bambino che coincidono con le sue ovvero quelle di rompere le barriere iniziali che gli individui si portano dentro per iniziare a scavare le fondamenta di un rapporto, ha così inizio The Last Guardian. Già alle battute iniziali, quando i due protagonisti compiono i loro primi passi nel mondo di gioco è possibile scontrarsi con la natura tecnica altalenante del titolo, una perdita di fluidità che portò ad una grandissima parte del pubblico all’abbandono dell’opera. Questa caratteristica anche se involontaria da parte degli sviluppatori, non fa altro che rafforzare il concetto di empatia, Trico ed Ichi non si sono fermati alla prima difficoltà e probabilmente hanno avuto ragione…

Guardandoti da lontano

L’opera si sviluppa attraverso un mondo estremamente ampio che sviluppato spiccatamente in verticale, dovendo risolvere enigmi che possono essere superati soltanto con la collaborazione tra i due personaggi. L’essenza di ambientazioni di natura fortemente decadente e antica dà la possibilità di soffermarsi ad osservare le caratteristiche del nostro compagno di viaggio. Trico è una creatura leggendaria, ostile ad ogni interazione con gli altri esseri umani, ha le sembianze di un grosso mammifero che racchiude in sé tantissime caratteristiche peculiari di animali molto differenti tra loro come uccelli, cani, gatti o scimmie. La creatura che ci accompagna è un prodigio tecnologico, una volta all’interno del pathos dell’avventura non riuscirete quasi a rassegnarvi al fatto che non esista, che sia soltanto una creatura programmata. Trico è vivo, ed è vivo attraverso i suoi versi, le sue fusa ed i suoi salti, è vivo con i suoi artigli che a tratti ci spaventano ed a tratti ci proteggono, è vivo mentre rifiuta di seguirci quando lo chiamiamo (è presente un comando per farci seguire!), Trico è il mezzo per raggiungere la nostra empatia.

Guardandoti da vicino

L’evoluzione del rapporto tra i due personaggi è rappresentata da una meccanica tanto semplice quanto efficace: il bambino dovrà di tanto in tanto trovare dei barili contenenti il cibo per Trico che durante il corso dell’avventura ci farà capire di essere arrivato a corto di energie, o più semplicemente di non aver più voglia di andare avanti! Il gioco permette inoltre di avere un tasto dedicato ad accarezzare Trico e non vi nascondo che avrei potuto terminare il gioco nella metà delle ore se solo non le avessi passate a dedicare attenzioni affettive al compagno a quattro zampe.

Il rapporto tra i due comprimari ci mette ben poco a decollare, complici diversi momenti in cui Ichi si troverà in pericolo per svariati motivi che porteranno la creatura a salvare quasi inaspettatamente il suo compagno. In uno di questi particolari momenti però i personaggi saranno separati per cause di forza maggiore e si troveranno a dover ritrovare la strada per ricongiungersi prima di proseguire il loro viaggio. Proprio in questo momento scoprono l’esistenza di altre creature come Trico che però presentano delle attitudini molto più minacciose. Da questo momento il viaggio prende un’altra piega e il messaggio da interpretare diventa di più ampio respiro.

Il bambino che è in te

Arrivati quasi alla fine del loro viaggio, Ichi e il suo compagno giungono alla sala del Signore della Valle, una strana entità che controlla le azioni di tutti i Trico presenti, tranne quelle del nostro compagno. Apprendiamo che Ichi in realtà non è un bambino come tutti gli altri, bensì è un prescelto: un bambino che come molti altri è utilizzato dal signore della valle per coglierne la linfa vitale ed alimentare i Trico in circolazione. La critica sociale da questo punto in poi diventa molto marcata, i due personaggi che sembrano gli ultimi sopravvissuti ad un mondo di “bestie” governate da un potere superiore, sono chiamati a dover salvare il destino della realtà che li circonda, facendo svegliare gli altri Trico da un sonno profondo apparente che li occlude dandogli in pasto la “coscienza di un fanciullo”. Il messaggio è molto forte: la società moderna governata da un’entità superiore è ormai soggiogata da coscienze inculcate troppo superficiali per basarsi su rapporti con gli altri, tanto da ignorare qualsiasi interazione esterna che non sia funzionale alla sopravvivenza e alla coltivazione del proprio ego. C’è soltanto una cosa che può combattere questa problematica sociale: l’empatia. Proprio per questo motivo, saranno i due compagni di avventure, portatori sani di empatia, a distruggere tra mille difficoltà i collegamenti tra il Signore della Valle e i Trico soggiogati, facendoli rinsavire istantaneamente prendendo finalmente coscienza della realtà.

Il destino dell’empatia

Inutile dire che arrivati alla fine gli occhi siano gravidi di lacrime. Seppur il gioco non cerchi di emozionarvi con particolari momenti tristi, è proprio il risveglio dell’empatia che travolge più di tutto. Dopo la risoluzione delle vicende, lo sviluppatore vuole dare uno spaccato ottimistico sulle tendenze sociali future, diversi anni dopo infatti, un Ichi ormai diventato uomo ritrova lo scudo utilizzato nell’avventura, ed in quel preciso momento, l’eco del ritrovamento viene percepito da Trico…e dal suo cucciolo.

The Last Guardian ci insegna che anche a distanza di anni l’empatia è l’unica via di salvezza sociale che permette di creare legami che superano i confini ed il tempo stesso, se le nostre vite sono destinate ad esistere, basta guardare gli altri per capire che alla fine stiamo guardando noi stessi.

Vedere con gli occhi di un altro, ascoltare con le orecchie di un altro, e sentire con il cuore di un altro.”  (Alfred Adler)

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