Adattare i libri ai videogiochi: come si fa?

Gli opposti che si attraggono

Speciale di Manuel Caliandro

La volontà di dimostrare come i videogiochi possano essere accomunati a forme d’arte considerate più valide, cavalcare l’onda di un film o un libro o anche solo la voglia di poter non solo leggere e guardare un mondo ma di esserne del tutto immersi, sono tutte motivazioni valide che possono sfociare nell’adattamento di una storia ad altri canali comunicativi.

Eppure, spesso questi adattamenti falliscono nel trasportare in qualche modo l’utente nello stesso mondo, privando l’esperienza di sensazioni simili. Insomma, quando si legge qualcosa, giocare un videogioco tratto dallo stesso libro sicuramente non può lasciarti dentro le stesse emozioni. O forse sì?

Differenze tra i media

Adesso ciò che segue sembrerà quasi stupido da dire ma bisogna ricordare che tra un media e l’altro ci sono mari interi di distanza: partiamo dalle cose che vengono accomunate più spesso ovvero libri e film. Questi due sono media “passivi”, in quanto l’utente deve solo mettersi ‘a disposizione’, concentrarsi un po’ per seguire quello che sta succedendo sullo schermo/pagine e in risposta riceve una storia chiara e precisa. Eppure la maggior parte dei libri si traspone al cinema con non poca fatica. Vediamo perché.

Prima di tutto, un libro può durare tendenzialmente all’infinito, ma comunque si può arrivare oltre alle 20 ore di lettura, dipendentemente dalla velocità dell’utente, dalla difficoltà della scrittura o anche solo dal formato in cui è stato stampato. Di contro un film può arrivare a durare sulle tre ore, raramente attorno alle quattro. Per trasportare la stessa storia ci saranno quindi moltissimi tagli, piccoli dettagli che si perdono e, a volte, c’è bisogno di cambiare vere e proprie parti per spremere un libro in un orario così stretto. Prendiamo d’esempio la saga Harry Potter, dove finchè si trattava di adattare libri da 300 pagine o poco più è filato tutto liscio. Poi però si è arrivati al quinto libro e alle sue 800 pagine e gli sceneggiatori hanno dovuto fare dei pesanti (e molto contestati) cambiamenti per rendere il film più godibile per il pubblico.

Poi bisogna ricordarsi che il libro ha una capacità introspettiva che il film non sempre può permettersi o che quantomeno è difficile da rendere in molti casi. All’interno di un libro, spesso il narratore ci porta direttamente nei pensieri dei personaggi e ci spiega passo passo il motivo delle loro azioni giustificandole attraverso le emozioni che questi provano. In un film questo è molto difficile, se non impossibile, a meno di non trovarci in situazioni alla Blade runner, in cui l’intero film viene narrato dalla voce del protagonista.

Dal canto suo, il film è sicuramente un medium di più facile fruizione: qualsiasi utente può tranquillamente gustarsi un film in sottofondo mentre sta facendo altro, cosa che con il libro è impossibile fare. In più un film ha una potenza visiva che è estremamente difficile da trasporre su un libro. Un movimento di camera, un’esplosione di colori, o anche solo un jumpscare, sono tutte tattiche molto difficili da descrivere in un libro.

E il videogioco?

Da un certo punto di vista i videogiochi sono più fortunati poiché si possono evitare la maggior parte dei principali problemi di adattamento elencati prima: movimenti di camera, scene visibilmente stimolanti, giochi con le dimensioni degli oggetti o con i colori? Si può fare tranquillamente, basta guardare giochi come Abzù o anche un più popolare God of war. 

Introspezione all’interno della mente dei protagonisti? Nulla di più facile. Spesso il giocatore diventa in tutto e per tutto il protagonista, come in un qualsiasi Legend of Zelda, o nella serie Fallout. Ma se si vuole dare un’impronta più personale al personaggio, si può sempre tendere verso la serie Life is strange, nella quale i personaggi parlano spesso con loro stessi per dare opinioni e spiegazioni al giocatore.

Adattare una storia già scritta in un videogioco è una sfida da non sottovalutare

Problemi relativi alla durata del racconto? Nessuno. Nel mondo videoludico abbiamo giochi come Journey che durano tra le due e le quattro ore (più o meno un film un po’ lunghetto), Uncharted 4 che si muove intorno alle 16 ore (una buona media per la lettura di un libro), fino ad arrivare a Persona 5, con la sua mastodontica lunghezza di 100 ore (quasi 4 giorni e mezzo di gameplay). Questo perché il media videoludico ha un’unicità: l’interazione.  All’interno di un gioco abbiamo bisogno di scegliere, che sia scegliere come andrà la storia, a quale nemico sparare prima, o quale combo usare contro quale mostro. Questa interazione manca completamente all’interno dei libri, e di base è molto difficile inserirla a forza all’interno della storia.

Il libro giusto

Pensiamo ai giochi tratti da libri che hanno fatto più successo sul mercato: le saghe The Witcher e Metro. Se andiamo ad analizzare i libri da cui sono tratti, vediamo delle sottili somiglianze. I libri sono raccontati per la maggior parte dalla prospettiva di una singola persona che vive una vita di azione e avventura. Oltretutto il protagonista ha spesso delle capacità e degli oggetti caratteristici ben descritti nei libri, come la magia e lo stile di combattimento per The Witcher o le armi di fortuna e gli oggetti di sopravvivenza per Metro. Infine, la storia di queste due opere si sviluppa come una serie di ostacoli che i protagonisti devono superare usando proprio queste loro caratteristiche. Lungi dall’essere una critica su queste opere e al lavoro che gli sviluppatori hanno messo nei loro giochi, ma sembra quasi che i libri siano stati scritti apposta per diventare un videogioco!

Dopodiché, aggiungere quest secondarie e la struttura open world dei giochi di The Witcher è stato sicuramente aiutato dalla natura antologica di alcune parti del libro. Ma anche la natura più ‘a corridoio’ dei primi Metro, e naturalmente l’aspetto sparatutto che è il cuore del gioco, erano già completamente presenti nelle azioni che il protagonista del libro portava avanti. La parte più difficile è stata creare un mondo e delle storyline così simili a quelle dei libri da trasportare l’utente nello stesso mondo e fargli provare le stesse emozioni.

Quindi tutto questo è fattibile finchè il libro si presta così bene a una trasposizione. Ma cosa fare se il libro non si identifica facilmente in un genere videoludico ben preciso? Da qui in poi il campo si fa abbastanza fumoso e si entra in quello che è il mio parere personale. Credo dunque che vi siano almeno due soluzioni, vediamole un attimo.

Avvicinarsi al media

In questo caso ci aiutano Telltale, Daedalic e l’intero genere delle Visual Novel. Telltale faceva principalmente avventure grafiche ma così poco interattive da essere state considerate più volte film interattivi. In Tales from the Borderlands il giocatore si trova davanti a scelte fatte a bivio che cambieranno in modo abbastanza deciso la storia, e quick time event che aggiungono un po’ di azione al gioco. Il gioco risulta alquanto immersivo e, nonostante non ci siano così tante interazioni, non annoia. Ecco, questo è un buon esempio di avvicinamento a un media: l’opera è molto vicina a un film ma rimane pur sempre un gioco e quindi può sfruttare i punti di forza e i problemi di entrambi per quanto concerne l’adattamento da un libro.

Se guardiamo invece le visual novel, ci risulta chiaro come queste siano praticamente un libro in cui invece di girare le pagine, premiamo il nostro mouse. A dire il vero questa è una semplificazione: molti racconti possiedono alcune scelte all’interno del gioco anche se di solito non molto rilevanti all’interno della storyline principale. Inoltre l’aggiunta delle magnifiche illustrazioni e musiche che contraddistinguono il genere sono spesso gradite aggiunte rispetto al semplice scritto.

Prendiamo in esame un gioco meno conosciuto: Changelings dei Steamberry Studio. Questa visual novel aggiunge, a quello che potrebbe essere un ottimo libro, un aspetto da Dating simulator. Il Giocatore si trova nei panni di questa ragazza che vive una magica avventura in cui scoprirà i segreti della sua famiglia e la maggior parte delle sue scelte sono con quale ragazzo la protagonista si ritroverà a passare parte del suo tempo.

Questo a mio parere potrebbe essere un ottimo modo di adattare un libro poiché aggiunge delle scelte al giocatore che non vanno a cambiare una storia già scritta ma si muovono tra i dettagli che possono invece essere modificati e in più porta un aspetto visivo a potenziare l’esperienza dell’utente. Detto questo, si potrebbe portare avanti il punto che effettivamente le visual novel sono quasi più libri che giochi, che se gestite male possono diventare uno dei peggiori casi di wall of text della storia videoludica e che, comunque, rimangono confinati in una nicchia ristretta di persone.

Immagine raffigurante i personaggi principali dell'adattamento di "I pilastri della terra"

E poi abbiamo quello che secondo me è un ottimo punto di congiunzione, uno strumento perfetto per adattare libri un po’ più calmi e riflessivi, ma che se la potrebbe cavare anche con scene più concitate: i cosiddetti punta e clicca. L’esempio perfetto è sicuramente I Pilastri della Terra della sopracitata Daedalic: il gioco è una trasposizione molto fedele del libro che concede al giocatore libertà limitatamente ad alcuni dettagli della storia. Il risultato è qualcosa che non è né un semplice libro interattivo né tantomeno un film ma un vero e proprio videogioco trascinante e accattivante.

Oltre a questi due metodi, ce n’è forse un altro che risponde a una domanda ben specifica: quando adattiamo, esattamente cosa stiamo cercando di portare dal libro originale?

Un’altra via

Se vogliamo riportare la storia, come detto, con degli accorgimenti si può sicuramente fare. Però non basta la storia da sola, infatti c’è bisogno di scavare un po’ di più, bisogna capire perché una storia ci prende, quali sensazioni sprigiona in noi il racconto. La cosa a mio parere più importante nell’adattamento di un libro, o di una qualsiasi storia in verità, è lo stesso mix unico di emozioni che la lettura dello stesso libro mi darebbe. Per fare questo non c’è bisogno di seguire una storia, nemmeno di tenere i personaggi.

C’è bisogno di estrarre gli ingredienti che all’interno del libro fanno provare certe emozioni, e trovare il modo di tradurre quelli in un videogioco. Per questo lavoro non c’è una formula magica, bisogna avere una forte capacità di analisi, e un’originalità in grado di trasformare parole scritte in regole e meccaniche di gioco. Ma una cosa che possiamo sicuramente fare è imparare dai migliori.

E quando si tratta di migliori adattamenti da libri a videogame, non si può assolutamente non citare Bloodborne.

Bloodborne è un gioco non solo fortemente ispirato dall’intera letteratura di Lovecraft ma che diventa un vero e proprio adattamento delle opere dell’autore americano. A partire dalla trama del gioco, che ricorda alcuni racconti particolari in cui si parla di viaggiare nei sogni e degli orrori che questo comporta, passando alla lore, chiaramente non solo ispirata, ma proprio creata a partire dal mito di Cthulhu, per finire nelle meccaniche stesse di gioco. La meccanica dell’intuizione di Bloodborne, per cui vedendo e conoscendo esseri incomprensibili o disturbanti, il giocatore è poi in grado di capire meglio e vedere la realtà del mondo che lo circonda, è una perfetta trasposizione del concetto di follia di Lovecraft, così come lo è tutta la narrativa legata alla bestialità. Questo rende Bloodborne un adattamento perfetto, anche senza avere le storie e le trame di Lovecraft al suo interno.

Ciò non per dire che non si possano sposare le due cose, se si pensa ai recenti giochi Sherlock Holmes, si può chiaramente vedere come i personaggi siano rimasti gli stessi, anche se le storie sono cambiate. Ma il punto è che quello che rende questi giochi fedeli ai libri originali non sono solo i personaggi ma anche la meccanica di collegamento che il giocatore ha a disposizione per scoprire gli indizi. Dovendo tu, utente, fisicamente collegare un indizio con un altro all’interno della testa del protagonista, finirai per sentirti come quando leggendo un giallo cerchi di capire chi sia il colpevole prima ancora che lo dica il libro.

La chiave per un buon adattamento da un libro a un gioco dunque è esattamente questa: trasporre le sensazioni che un libro trasmette, attraverso le meccaniche del gioco. Forse davvero in questo caso la domanda da farsi non è come adattare, ma cosa adattare.

Ci sono 1 commenti

Betty

Interessante! Mette in risalto la creatività e il duro lavoro che c’è dietro allo sviluppo di un videogioco e che si tratta di una vera forna d’arte

Lascia un commento