Carte collezionabili e videogiochi: storia e futuro di un sodalizio

Anche voi credete nel cuore delle carte?

Speciale di Farow

Un mazzo di carte e qualche amico: piccini e anziani hanno da sempre trovato grande svago nel riunirsi attorno ai banchi di scuola, in fumetteria o al circolo per sfidarsi e darsele di santa ragione. Ciò che oggi tenteremo d’indovinare non sarà l’effettiva somma tra quindici e diciotto, bensì quale avvenire attenda il binomio videogiochi e carte collezionabili. C’è però da precisare prima come quest’ultime si differenzino – per alcuni elementi piuttosto evidenti – dalle più comuni carte da gioco francesi e regionali italiane: spesso basati su corrispettivi manga e anime, i trading card games prevedono che i giocatori acquistino nuove bustine ed espansioni, per ampliare la propria collezione e competere con altri individui su vari livelli. Tra i più famosi citiamo Magic: The Gathering, Yu-Gi-Oh!, Force of Will e Cardfight Vanguard. Qualora questi nomi vi suonino ben più che familiari, è probabile che abbiate trascorso gran parte della vostra gioventù nel negozietto di fiducia, a migliorare i deck e a maledire tale dipendenza che tanta sofferenza arreca ai portafogli. Il fenomeno dei TCG non è inoltre estraneo al mondo videoludico e in sede analizzeremo passato, presente e futuro di una convivenza fatta di alti e numerosi bassi.

Muovere i primi passi

Tra i maggiori giochi di carte collezionabili, fu Magic: The Gathering a vedere per primo una trasposizione videoludica. Pubblicato per PC nel lontano 1997, il titolo sviluppato da MicroProse proponeva una campagna in giocatore singolo, la più canonica sfida contro l’ntelligenza artificiale e in seguito una graditissima modalità multigiocatore. Le regole di gioco rispettavano più o meno fedelmente quelle del gioco reale, eccezion fatta per la storia principale, alla quale si applicavano casistiche speciali. L’impossibilità di ampliare la propria collezione però rendeva il titolo di Sid Meier – sì avete capito bene – distante dalla sua controparte cartacea, privandolo della soddisfazione di trovare pezzi nuovi e rari. È possibile inoltre intraprendere un discorso analogo per quanto concerne “Yu-Gi-Oh!”: la gallina dalle uova d’oro di Konami ha trovato il proprio posticino ideale nelle console casalinghe e portatili targate Sony e Nintendo. Sarebbe impossibile e ingiusto non citare gli storici Forbidden Memories, Duelist of the Roses, le saghe World Championship e Tag Force: al netto di regole strampalate, alterate, semplificate e collezioni improponibili, questi hanno fatto breccia nel cuore di tanti appassionati, anche grazie al forte legame con l’anime di riferimento.

Sebbene la possibilità di possedere i propri giochi di carte preferiti su console e PC fosse gradita, il giocatore esperto non ha potuto fare a meno di avvertire svariate sensazioni negative. In primo luogo, l’assenza di una reale competizione ha fatto sì che l’interesse nei confronti dei succitati scemasse vertiginosamente col passare del tempo. Secondo fattore che ha decretato lo scarso successo del genere è proprio la distanza dalle versioni reali, sia per regole di gioco che per la natura delle collezioni in sè. Una volta portate a termine le campagne principali, restavano ben poche ragioni per proseguire l’avventura. Per quanto assurdo possa apparire, in molti hanno preferito il continuo esborso di denaro per le bustine al singolo, sterile investimento iniziale. Piccola parentesi per quanto riguarda i simulatori: affini ai videogiochi per natura e problematiche, piattaforme come Dueling Network, YGOPro et similia, hanno messo a disposizione dei giocatori collezioni di carte aggiornate periodicamente e in maniera del tutto gratuita. Lo scopo di tutto ciò consiste nel semplice testare i mazzi da costruire in seguito nella vita reale, ma in tanti – per ragioni puramente monetarie – hanno scelto di focalizzarsi principalmente sul mondo digitale.

Qualora la nostra disamina dovesse fermarsi qui, ciò che ne trarremmo sarebbe una laconica conclusione: i giochi di carte collezionabili e i videogiochi loro dedicati sono similarmente divertenti ma differenti in sostanza. In parole povere, potremmo paragonare quest’ultimi all’accoppiata “caffè espresso-ginseng”: per quanto sia difficile ammetterlo, i primi saranno sempre superiori ai secondi. Fortunatamente, la nostra storia non finisce qui.

L’occhio del giudizio

Capita di tanto in tanto d’imbattersi in progetti innovativi, spinti più dal coraggio e dalla voglia d’innovazione che dall’ambizione vera e propria. Tra questi possiamo annoverare The Eye of Judgment, esclusiva per PlayStation 3 risalente all’ormai lontano 2007. Venduto in bundle con la telecamera PSEye, una plancia e alcune bustine di carte, il titolo di SCE Studio Japan è stato il primo a proporre un’effettiva unione tra videogioco e Trading Card Game. Posizionando le unità sul terreno, queste prendevano vita sullo schermo: musica per le orecchie di qualunque appassionato del genere. Come ogni gioco di carte collezionabili che si rispetti, anche per The Eye of Judgment vennero pubblicate alcune espansioni, al fine di ampliarne l’offerta ludica e restituire il medesimo feeling dei giochi reali.

Purtroppo non è tutto oro quel che luccica. Per quanto il gioco fosse divertente, facile da apprendere e intuitivo, alcuni fattori ne decretarono il fallimento. Il fatto di possedere una collezione effettiva era indubbiamente un’arma a doppio taglio: da un lato la soddisfazione di stringere le carte tra le mani, dall’altro la necessità di procurarsene di nuove. Le bustine inoltre erano praticamente introvabili. Non poterle comprare da quasi nessun rivenditore o fumetteria sotto casa era incredibilmente limitante, specialmente in un’era in cui lo shopping online non era assolutamente alla portata di tutti. In seguito allo scarsissimo successo commerciale del gioco, i server sono stati chiusi, il che equivale a un colpo letale per un TCG che fa della competizione contro altri giocatori il proprio punto di forza. La piccola brillante intuizione però di possedere una propria collezione è stata poi ereditata dai prodotti odierni, trasformata con intelligenza in formato totalmente digitale.

Dove tutto è iniziato…di nuovo: Hearthstone

Un bel dì durante l’estate del 2005, Blizzard si rese conto di un microscopico particolare: il possesso di una IP dal successo mondiale, vale a dire World of Warcraft. Nel 2006 si lanciò ufficialmente nella mischia con il proprio gioco di carte collezionabili, molto più simile a Magic che a Yu-Gi-Oh! per meccaniche e stile artistico. Alcune folli dinamiche (come urlare: “Leeeeeroooyy Jeeeenkins” o danzare attorno al tavolo) e le meravigliose illustrazioni non sono riuscite nell’impresa d’intaccare lo strapotere di Konami e Wizards of the Coast. Dopo numerose espansioni, Blizzard ha infatti decretato la fine del supporto per il proprio gioco, non senza qualche rimpianto. Relegare però al dimenticatoio il duro lavoro svolto fino a quel momento non pareva totalmente giusto: perché non recuperare tutto il materiale e farne un videogioco di carte? Da un’idea tanto semplice quanto efficace, Hearthstone vide la luce nel 2014 su PC e piattaforme mobile Apple e Android.

Grazie al potere del videogioco e al “fattore RNG”, il prodotto Blizzard ha potuto sfruttare al meglio tutte le intuizioni al limite del cervellotico partorite durante il periodo cartaceo. Essendo nato con l’intento di inserirsi nel mondo E-Sport, Hearthstone ha permesso ai giocatori di competere realmente e scalare le classifiche, oltre a possedere una collezione che – sebbene non più fisicamente presente – andasse ad ampliarsi con l’uscita di ogni nuova espansione e avventura a tema. Il fatto che ormai l’accesso allo shopping online e alle carte prepagate fosse cosa ormai comune, ha portato introiti considerevoli nelle casse Activision-Blizzard. Hearthstone è proprio questo: un gioco di carte collezionabili a tutti gli effetti, competitivo e gratuito. Concept, modalità di distribuzione, costi, crafting e rarità delle carte, modalità di gioco: tutti elementi per cui Hearthstone è stato poi ripreso e utilizzato come base da altri titoli. La community aumenta ogni giorno di più e la soddisfazione giunge per vari motivi: si possiede una collezione effettiva; non è assolutamente dispendioso come alcuni giochi reali (si pensi a Yu-Gi-Oh! e le carte da oltre 100€ l’una, con la necessità di comprare nuovi mazzi T1 all’uscita di ogni nuova espansione); il supporto è continuativo, i contenuti sono validi e frequenti. Hearthstone ha avuto successo laddove i videogiochi delle generazioni precedenti hanno fallito, ha colto l’intuizione che The Eye Of Judgment aveva realizzato solo a metà e ora rappresenta una soluzione che in molti stanno iniziando ad apprezzare…concorrenza inclusa.

Provocare la valanga

Dopo il successo strabiliante del minigioco Gwent all’interno di The Witcher 3, CD Projekt ha ben pensato di cogliere la palla al balzo per sfidare Hearthstone stesso. Rendendo più complesse le meccaniche – fin troppo semplici e ripetitive – del gioco base e adottando alcune feature dal prodotto Blizzard, ha dato vita a una versione indipendente di Gwent. Il prodotto è stato per un po’ di tempo in beta (prima closed e poi open) e ha ottenuto un buon successo, anche se al momento – vista anche la giovane età e il numero esiguo di espansioni disponibili – non ottiene gli stessi numeri di Blizzard. Ovviamente anche Wizards of the Coast non poteva stare a guardare i due litiganti a contendersi il pubblico videoludico, lanciando prevedibilmente Magic Arena (al momento ancora in fase open beta). Le regole sono ancora una volta identiche a quelle del gioco reale, così come le espansioni e gli effetti delle carte. L’unica differenza risiede nell’essere totalmente Free to Play, nel costare decisamente meno della controparte cartacea e ottenere una vasta collezione non è affatto arduo. Anche altri hanno provato a infilarsi nella gara come Might and Magic e il gioco di carte derivante da Smite, ottenendo però attenzione infinitesimale e fallendo praticamente in partenza.

Il successo dei trading card games gratuiti e digitali offre un chiaro dato di fatto: sono decisamente più accessibili a tutti, più comodi e portano più denaro nelle casse dei publisher di quanto ne guadagnino con le carte reali. Chi vuole giocare a Magic potrà farlo come ha sempre fatto oppure su PC (consigliato specialmente ai novizi). Chi adora Blizzard allora sarà rapito da Hearthstone così come Gwent riuscirà a catturare gli amanti dello strigo. È difficile inoltre che Konami si limiti a osservare dalla finestra: Yu-Gi-Oh! dal canto suo ha da sempre costuito una garanzia per la casa nipponica, ma ora la concorrenza si è fatta molto più spietata e ha dalla sua parte i potenti mezzi del mondo videoludico. È quindi molto probabile che nella testa di Konami sia frullata – e continui a farlo – l’idea di portare anche il gioco del faraone d’Egitto nella grande corsa dei videogiochi gratuiti. Il futuro per i giochi di carte collezionabili è quindi solamente nel digitale? Non del tutto: chi vuole continuerà a giocare in fumetteria, gli altri potranno farlo su PC ma avranno a disposizione le stesse espansioni, le stesse possibilità (tornei, e-sports) a un costo decisamente inferiore.

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