Da E.T. a Cyberpunk: storie di produzioni… complicate

Fallimenti, pessime scelte di comunicazione e ripercussioni sull'industria

Speciale di Francesco Pagano

Chi dimentica è complice. Un anno fa erano in pochi – forse solo i possessori di PC dalle 3080 splendenti – a non puntare forte il dito contro Cyberpunk 2077. I bug, i problemi di ottimizzazione su console non solo old gen e un crogiolo di critiche e recensioni negative piovevano da ogni parte. Il gioco, così com’era, non andava e forse su PlayStation 4 e Xbox One non sarebbe mai dovuto arrivare. E oggi, dopo risarcimenti, aggiornamenti e correzioni, CD Projekt Red ha messo una bella pietra sopra a questa storia e sta provando ad andare avanti, così come i giocatori.

Dovremmo metterci il cuore in pace un po’ tutti poiché la triste vicenda di Cyberpunk non è la sola ad aver agitato il mondo del gaming. In realtà rappresenta solo l’ultimo titolo in ordine di tempo che, nel corso dei decenni, ha avuto problemi e intoppi, ha disatteso le speranze e ha provocato un piccolo terremoto nell’industria. Di nomi illustri ce ne sono e forse qualcuno li ha dimenticati: ci sembra quindi giusto raccontare di chi ha fatto davvero una figura barbina negli anni, in alcuni casi diventando in negativo un nodo cruciale della storia di questa industria. Non sarà una classifica per gravità, ma solo un elenco più o meno cronologico dei peggiori lanci della storia dei videogiochi. Preparate i forconi.

Pac-Man, una conversione da brividi

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La storia dei flop videoludici per molti inizia con un certo alieno che chiamava casa sul grande schermo ma a quello ci arriveremo tra poco. Prima di quella triste storia è giusto ricordare che sulla console Atari 2600 sono passati altri titoli non proprio eccellenti. Su quella console, emblema del porting dei cabinati, passò anche un certo Pac Man. Gioco di successo, successo assicurato. Tutto facile all’apparenza? E invece no, in quanto quel porting del 1982 per 2600 fu un disastro. Sotto il profilo grafico fu un pugno in un’occhio; solo i quarantenni o cinquantenni di oggi possono ricordare quanto malumore generò quella conversione per casa. Non c’erano i social al tempo ma il passaparola e i primi articoli sulle riviste che parlavano di videogiochi bastarono a bacchettare il gioco a dovere e tramutare un macina-monete da sala giochi in un fallimento su console.

L’Extraterrestre che seppellì i videogiochi

E nel 1982 ci fu anche E.T. L’Extraterrestre, il gioco che è l’effige consolidata di videogioco fallimentare. Fu realizzato in fretta e furia – se ne è parlato anche in un documentario su Netflix – in sole cinque settimane per uscire in tempo per il lancio del film. Troppo poco tempo perfino per quegli anni di grande fermento e sviluppatori folli. Il risultato fu un titolo ingiocabile, pieno di bug e sostanzialmente noioso da morire. La leggenda si fece mito e si parlò di milioni di copie del gioco, e di altri prodotti Atari, seppellite nel deserto del New Mexico. Un velo di vergogna metaforica che invece anni dopo si seppe essere reale con uno scavo archeologico che nel 2014 ha portato alla luce il “cimitero della vergogna di Atari”. In molti etichettano questo insuccesso come la scintilla che diede il via alla crisi dei videogiochi del 1983; si può dire in un certo senso che Atari e la prima Era dei videogiochi morirono quel giorno, per colpa della troppa fretta, una costante che forse condividono altri giochi di questa lista.

Il caso politico di Night Trap

Quando una parte dell’opinione pubblica ha iniziato a etichettare i videogiochi come violenti e pericolosi? Difficile rispondere ma se dovessimo dare un punto preciso della storia in cui questa percezioni è diventata palese dovremmo tornare indietro al 1992. In quell’anno su Sega Mega CD venne pubblicato Night Trap, uno dei primi esperimenti di film interattivo dalle tinte molto splatter e un gameplay che non era questo gran capolavoro. Un gioco che sarebbe passato in sordina se non fosse stato che nel 1993 finì davanti alla commissione del Senato degli Stati Uniti come incitamento alla violenza e al voyeurismo.

Di sangue nel gioco nemmeno una goccia, di violenza poca, di erotismo esplicito molto molto meno. Ma per gli standard della cultura del tempo era troppo. Night Trap finì alla gogna accanto a Mortal Kombat, che di violenza e sangue ne aveva invece in abbondanza. Il gioco venne ritirato dal mercato, etichettato come non adatto ai minorenni (al tempo i principali giocatori) e, insieme al citato piacchiaduro e a Lethal Enforcers, fu uno dei motivi che spinsero a creare il codice di classificazione ESRB dal quale derivano tutti gli altri compreso il PEGI europeo. In molti ancora oggi considerano ingiustificato e fin troppo ampio il clamore e il peso dati a Night Trap.

Quella volta che Nintendo concesse le sue esclusive

Zelda Philips CD-i

Non si può non citare il sempre l’abominio compiuto da Philips con due Mostri sacri come Zelda e Super Mario. Nintendo sappiamo essere molto “gelosa” delle sue IP, ma nei primi anni novanta provò ad aprirsi al mondo offrendo un contratto per l’utilizzo delle due proprietà intellettuali di Nintendo. sulla sua console CD-i Philips avrebbe dovuto pubblicare tre capitoli a marchio Zelda e altri titoli con Mario protagonista. Link: The Faces of Evil e Zelda: The Wand of Gamelon vennero pubblicato tra il 1993 e il 1994 e fu subito un dramma.

Due action adventure con filmati alla Dragon’s Lair (nulla a che competere con la qualità dei disegni, ndr) per una coppia di platform side scrolling che fece inorridire molta della critica del tempo per la sua scarsa qualità e atmosfera grottesca. E di certo non andò meglio al Zelda’s Adventure, terzo titolo per CD-i con visuale dall’alto e personaggi animati in live action, con una qualità al limite del prodotto amatoriale. Questo terzetto di abomini venne distrutto dalla critica e, insieme all’altrettanto deludente Hotel Mario, fecero tornare Nintendo su suoi passi, alzando le barricate attorno ai propri personaggi e IP che tornarono a essere esclusive delle proprie console per molti decenni.

La katana spezzata di Romero

daykatana Romero

John Romero negli anni novanta era una star nel panorama degli sviluppatori. Quando abbandonò Id Software per seguire la sua visione non si aspettava certo di incontrare mille difficoltà ma non sempre le stelle riescono a brillare da sole. Nel 1997 venne presentato Daikatana come parte della campagna pubblicitaria, sopra le righe e molto egocentrica, della neonata compagnia di Romero Ion Storm. Il titolo usava l’engine di Quake ma il team provò entusiasmo per il Quake II engine tanto da volerlo implementare nel gioco.

I problemi di programmazione si moltiplicarono e portarono a molti rinvii, con il gioco che inizialmente era previsto per il 1998. Lo sviluppo di Daikatana si sovrappose a quello di altri giochi e la demo del 1999 a E3 mise in luce tutti i difetti, tra frame rate indecoroso e un comparto grafico molto vecchio. L’immagine del gioco era rovinata e quando venne pubblicato ufficialmente a novembre del 2000, le vendite rispecchiarono la poca fiducia del pubblico per il prodotto.

Batman più nero della mezzanotte

Sarebbe dovuto essere un’esclusiva per Nintendo GameCube, sarebbe dovuto essere un open-world simile a Spiderman 2, sarebbe dovuto essere un titolo che avrebbe cambiato approccio e stile ai giochi di Batman, rendendoli molto più fedeli al franchise. Questi erano i buoni propositi quando Batman: Dark Tomorrow venne presentato ad E3 2001.

Purtroppo questo progetto, seppur ambizioso, venne ridimensionato a un titolo stealth monotono nelle missioni, con dei controlli e una telecamera ingestibili. I voti negativi fioccarono; qualche recensione del tempo segna ancora un beffardo 0,75 su 10, con buona pace del publisher/sviluppatore Kemco. Questo Batman molti è considerato il peggior videogioco dedicato all’uomo pipistrello, per alcuni è persino uno dei peggiori giochi di sempre. Un primato non certo invidiabile per un eroe del suo calibro.

Final Fantasy MMO… da rifare

Può un mostro sacro come Final Fantasy inciampare in un insuccesso al lancio? Il rischio c’era soprattutto quando ti affacci su territori insidiosi come quello degli MMO. Con il capitolo XI avevano lavorato bene, proponendo un MMORPG piacevole, ma nel 2010 su PC apparve Final Fantasy XIV e fu subito tragedia. Una grafica super dettagliata e curata non bastò a nascondere gli enormi problemi dei controlli, dell’interfaccia e un grinding a dir poco frustrante. Square Enix incassò commenti negativi da ogni parte al punto che fu costretta nel 2011 a delle scuse pubbliche, a chiudere i server nel 2012 e a promettere un grande cambiamento che avvenne con un completo rifacimento del gioco che diede vita al ben più decoroso Final Fantasy XIV del 2013.

Il peso eccessivo dello spazio infinito

No man s Sky

Gli ultimi dieci anni di giochi non sono certo stati una passeggiata per quanto riguarda gli scivoloni. Anzi, le passeggiate spaziali sono state una delle più eclatanti debacle al lancio degli ultimi anni. Stiamo parlando dell’immenso nulla cosmico che era l’universo di No Man’s Sky nel 2016 quando venne pubblicato. Le promesse di un universo procedurale con centinaia di pianeti da esplorare attirò l’attenzione del pubblico e di Sony che investì nella piccola software house Hello Games per far pubblicare il gioco su PlayStation 4.

I grandi proclami però vennero disattesi al lancio: mancava il multiplayer, la proceduralità era sicuramente da sistemare e il gameplay era noioso da morire. Il piccolo studio si chiuse nel silenzio e le patch tardarono ad arrivare. Come da loro dichiarato non si aspettavano minimamente il numero cospicuo di giocatori che arrivò al lancio e ci vollero cinque anni di aggiornamenti perché No Man’s Sky diventasse il gioco che oggi alcuni di noi hanno imparato ad amare.

Le Guerre Stellari… ai loot box

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Uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni è Star Wars Battlefront II. In termini d’immagine Electonic Arts ha avuto tutto da perdere e nulla da guadagnare. Il gioco in sé non era neanche male, sarebbe stato un degno successori del primo episodio e la saga di Guerre Stellari ne avrebbe giovato. Tuttavia la scelta scellerata di inserire nel gioco un sistema di loot box che non solo alterava il gameplay ma creava degli evidenti sbilanciamenti tra chi sceglieva di pagare subito e chi invece di giocare per ottenere i bonus gratis.

In pre-alpha questi problemi furono subito evidenti e l’utenza insorse contro questa meccanica; al lancio il gioco aveva già una cattiva reputazione sulle spalle che ebbe ripercussioni sulle vendite, ma non fu il fatto più grave. Il polverone sollevato dal caso Battlefront II fece avviare delle interrogazioni in diversi stati – Belgio in testa – per bandire i loot box dai videogiochi poiché considerati gioco d’azzardo dato in mano ai minori, mettendo alla gogna anche tutti gli altri titoli che usavano questo sistema. EA, com’è noto, fu poi costretta a eliminare e poi riconvertire il sistema di loot box in semplice aggiunte estetiche di poco conto.

A voler raccontare di tutti gli incidenti di percorso della storia dei videogiochi ci sarebbe da mettere insieme un bel volume illustrato, ma non è questo il luogo. Ci sarebbe poi da parlare del disastro di Itakagaki con Devil’s Third su Wii U, di Anthem, o del rovinoso Crackdown III. Si potrebbe parlare del caos del multiplayer di Fallout 76 del 2018 o di Balan Wonderworld (2021) e dei suoi problemi legati a potenziali crisi epilettiche. Quello che resta è la constatazione che il campo minato che raccoglie il mondo dei videogiochi è così insidioso che anche la più insignificante scelta in fase di sviluppo o comunicazione può portare a conseguenze spesso nefaste non solo per il gioco, ma perfino per la compagnia o in alcuni casi per l’intera industria. Come direbbe uno zio famoso: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.

Ci sono 2 commenti

zak84

Si scrive Daikatana, non day

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