Una delle rubriche che preferisco di Gameplay Café è quella delle gallerie fotografiche. I motivi sono tanti; tra questi ce ne sono due che, più degli altri, mi spingono a sfogliare le immagini appena vengono pubblicate dagli amici della redazione. Il primo è piuttosto banale: le parole non restituiscono l’atmosfera che si respira in un videogioco e spesso anche il gameplay, quando non è riconducibile alla classica etichetta di genere (i.e. FPS), si riesce a decifrare con maggiore agilità. Quando sono interessato a un’IP, ancor prima di metterla in wishlist, ne cerco screenshot e video perché oggi il “solo” testo non mi è sufficiente (se mai lo è stato) e non acquisto un titolo se prima non mi ha catturato il suo comparto grafico.
abbiamo raggiunto Cristiano Bonora per parlare su Gameplay Café di questa particolare forma di fotografia
Il secondo motivo per cui adoro le gallerie fotografiche è legato alla mia debolezza nel voler trovare il lato artistico di una qualsiasi produzione. Gli screenshot, perché di semplici “screenshot” sto (ancora) scrivendo, mi offrono uno spaccato piuttosto chiaro della qualità offerta dal game designer di turno. Per fare un esempio su tutti, quando ho giocato ad A Plague Tale: Innocence ho catturato centinaia di immagini grazie all’Ansel di Nvidia ed è stato gratificante raccoglierle in un album (lo trovate qui) proprio perché raggiunti i titoli di coda ho potuto godere nuovamente di quell’immaginario esoterico di cui la produzione di Asobo Studio è così pregna (soprassediamo sul fatto che mi sia innamorato di Amicia, ma giusto per una questione di rispetto nei confronti dei suoi sedici anni virtuali). Ne consegue che osservare le gallerie fotografiche di altre persone mi regala il loro sguardo su quel particolare titolo, dandomi anche la possibilità di conoscere meglio l’attenzione che pongono quando si approcciano a un videogioco.
Con queste premesse mi vergogno meno a confessare che seguo la virtual photography fin dal 2010, ossia da quando Emanuele Bresciani lanciò il suo primo sito dedicato alla fotografia virtuale – Electric Blue Skies – che se non ricordo male fu uno dei primi portali al mondo dedicato a questa particolare forma d’arte. Più recentemente, anche per la qualità del lavoro fatto nel corso degli ultimi dieci anni sulla divulgazione del medium attraverso una critica al gameplay quale tassello centrale e imprescindibile per poter parlare seriamente di videogiochi, sto seguendo un altro artista – Cristiano Bonora – che oltre a esporre i suoi lavori nel circuito italiano di digital art, ha fornito scatti a publisher come Ubisoft Milano e Sony Interactive Entertainment Italia.
Mi rendo conto ora, scrivendo, che ho assimilato la differenza tra “screenshot” e “virtual photography” nel tanto tempo trascorso a guardare il lavoro di chi lo fa di mestiere ma che ad alcuni di voi, questa differenza, potrebbe non essere altrettanto esplicita. Con l’occasione del lancio del suo sito ufficiale (qui), abbiamo raggiunto Cristiano Bonora per parlare su Gameplay Café di questa particolare forma di fotografia. Senza indugiare oltre partirei proprio da qui in quella che, spero, possa essere una chiacchierata che vi faccia nascere il desiderio di riempire i vostri hard disk di scatti non improvvisati.
“La differenza, prima ancora della tecnica e del risultato, la fa il pensiero che precede il clic”
Roberto: Ciao Cristiano (e grazie per il tempo che ci stai regalando). Ho il desiderio di scrivere di virtual photography da molti anni ma per un motivo o per l’altro non ci sono mai riuscito. Visto che sul tuo novo sito tutti hanno la possibilità di vedere con i propri occhi alcune raccolte clamorose, come quella su Marvel’s Spider-man per PlayStation 4, vorrei iniziare a discutere con te delle basi. Qual è la differenza tra uno screnshot, come quelli che posso catturare io premendo il tasto Share sul DualShock 4, e una delle tue fotografie?
Critstiano: Beh, magari i tuoi scatti sono anche più belli dei miei, chi sono io per giudicare? Diciamo che in generale qualsiasi cattura di un’immagine a schermo è screenshot, esattamente come dal deserto di Sebastião Salgado al selfie in bagno della liceale sono tutte fotografie. La differenza, prima ancora della tecnica e del risultato, la fa il pensiero che precede il clic. Che storia mi sta raccontando quello scatto? Che riflessione vuole fare su quel momento, su quel luogo, su quel personaggio? Che emozioni mi vuole trasmettere? La fotografia, virtuale o dal vero che sia, è prima di tutto un linguaggio. Come la musica, come il cinema, come la pittura e la scrittura. Un fotografo è una persona che si esprime attraverso il linguaggio della fotografia. Pertanto, con la mia fotografia virtuale, non voglio mai solo farvi vedere un gioco, ma raccontarvi come io l’ho vissuto.
“Raccontarvi come io l’ho vissuto”: se vi fermate un attimo, fa sorridere il pensiero che i videogiochi, negli ultimi vent’anni, siano passati dall’essere considerati un intrattenimento per bambini a una forma di comunicazione su cui si può fare una riflessione per immagini. Volendo fare una digressione penso alla carta stampata di settore, che fin dai primi anni 2000 ha continuamente perso terreno rispetto alla sua controparte online. Abbiamo sempre pensato che uno dei problemi di questo suo perdere quote di mercato fosse legato alla gratuità (e abbondanza) dei contenuti digitali, ma se la vera responsabile di questo collasso fosse invece l’immagine stessa?
ma se la vera responsabile del collasso della stampa cartacea di settore fosse invece l’immagine stessa?
C’è stato un momento in cui la qualità dello scritto – perché non si può mettere in dubbio che quella, sulle riviste in edicola, sia rimasta invariata negli anni – ha perso potere; un momento in cui l’autorevolezza della testata di turno, delle sue firme, ha lasciato il posto a un nuovo modo di parlare di videogiochi. Gli articoli online si sono riempiti di screenshot alla massima risoluzione possibile per l’epoca, quindi sono spuntate le video anteprime e i walkthrough. Oggi sono cose che diamo per scontate e tutti, io compreso, perdo le ore spulciando i video di gameplay di questo e quel gioco… sono più immediati, più veritieri di qualsiasi voto o commento. Con queste premesse è forse più facile capire la “differenza” di cui stiamo scrivendo: da un lato abbiamo degli screenshot che mostrano un gioco, come quelli che usiamo a corredo delle recensioni magari indugiando su elementi legati alle meccaniche, dall’altro c’è un “giocatore” che racconta la sua esperienza con quel titolo attraverso le immagini. Eppure, anche avendo molto tempo a disposizione e nessun moccioso di pochi anni che ti gira per casa quando non stai lavorando (io ne ho due), è difficile arrivare a agli scatti della qualità di un professionista.
Roberto: Non me la stai raccontando tutta. Sul fatto che i mei screenshot possano essere più belli dei tuoi ho dei dubbi piuttosto motivabili, ma possiamo sorvolare. Lo stesso non vale per la questione del “pensiero che precede il clic”, perché si entra in un ambito differente ed è chiaro che se tutti avessimo il pensiero di un Oliviero Toscani non ci saremmo scandalizzati troppo nel vedere la sua suora baciare un prete. Ovviamente il lato artistico dell’individuo che esegue un determinato scatto genera un divario piuttosto incolmabile tra chi si fa un selfie con un gattino per postarlo su Facebook e chi vuole veicolare un messaggio preciso con un’immagine su cui ha lavorato magari per mesi. Mi viene in mente Zohai Anjun, il fotografo arabo che lo scorso 10 gennaio è riuscito a immortalare un fulmine che ha colpito la cima del Burj Khalifa a Dubai, il grattacielo più altro del mondo, dopo “soli” sette anni di appostamenti. Quindi vorrei capire con te, che lo fai per lavoro, come nasce uno screenshot di questo tipo. Ho letto che ti sei rimesso all’opera su Shadow of the Colossus e immagino tu lo stia “giocando” con obiettivi precisi. Riesci a raccontarmi come nasce il desiderio di raccontarlo attraverso catture uniche e come procedi nel lavoro?
Cristiano: Quello di Anjun è uno splendido esempio di fotografia fortemente voluta, che con i dovuti distinguo mi ha ricordato un mio scatto in Marvel’s Spider-man. Era una missione avanzata con tuoni e lampi, un evento unico. Mi trovavo dalla parte opposta di New York, ma pensai subito a che colpo sarebbe stato fotografare la Statua della Libertà centrata da un fulmine. Allora attraverso la città, mi apposto in acqua oltre la riva che dà su Liberty Island, attendo, provo e riprovo. Non ci vogliono sette anni, ma comunque tanta pazienza. Finalmente riesco a catturare una saetta perfettamente allineata alla statua. Solo, non avevo previsto che lo squarcio di luce del fulmine la avrebbe completamente nascosta. Ne esce uno scatto comunque suggestivo, ma non memorabile come speravo.
“Tanti pensano che la Virtual Photography sia un clic più un filtro Instagram…”
Tanti scatti nascono, e magari muoiono, così. Un’idea, un’intuizione, un collegamento. Altri scaturiscono da una riflessione su storia e personaggi. A volte cerco di catturare un momento di azione che sia emblematico di tutto il gioco, come Nathan Drake che salta dal tetto di una torre durante uno spettacolare crollo. Mi esaltano gli scatti che potrebbero essere usati come locandine, su verticalgamingphotography.com ho dedicato loro una Collection, cioè una galleria tematica che abbina le foto in base allo stile e al genere, non al gioco di provenienza.
Altre volte sono io che per rendere visibili certi temi do vita a situazioni di gameplay non previste. Shadow of the Colossus qui casca a fagiuolo. Questo gioco mi fa sempre riflettere su Davide e Golia, sulle sfide apparentemente impossibili che non solo i videogiochi, ma spesso la vita ci chiama ad affrontare. Così proprio oggi ho pensato di incrociare un fendente di Wanderer con uno portato dall’immenso terzo colosso, dando l’illusione di una parry o che comunque quel minuscolo personaggio possa arrestare con le sue forze un’intera montagna semovente. In questi casi, prima che per la tecnica fotografica, lo scatto è impegnativo a livello di gameplay: entrano in gioco tempismo, conoscenza dei moveset… un po’ come in una bossfight! A sua volta, però, la tecnica è decisiva. Tanti pensano che la Virtual Photography sia un clic più un filtro Instagram. Ma a risultati professionali si arriva con migliaia di ore di pratica in-game abbinate allo studio della fotografia tradizionale, partendo dai manuali di composizione, passando per la storia di quest’arte fino agli scritti teorici dei grandi autori. Non sta a me dire se quello che faccio sia bello o brutto, utile o inutile, fotografia o non fotografia, arte o non arte. Ma una cosa ve la posso garantire: non è facile.
Adoro il principio antropologico di “frontiera”, ossia quello spettro delle capacità umane in cui non c’è una linea netta che separa l’insieme delle cose che si possono/sanno/vogliono fare da quello delle cose che non si possono/non si sanno/non si vogliono fare. A differenza di un fotografo canonico (che io mi immagino dotato di strumentazioni costosissime e software con abbonamenti da capogiro), un fotografo virtuale scatta con la nostra stessa PlayStation o il medesimo Ansel di Nvidia. Non c’è nemmeno il tema di regolare le tante funzioni di una macchina fotografica da migliaia di euro, visto che le opzioni a disposizione del videogiocatore sono quattro in croce. In questa frontiera, ora intesa come terra di mezzo tra il Roberto che cattura a caso immagini del Control di Remedy Entertainment (che sto giocando e presto caricherò in una galleria quanto raccolto) e il Cristiano Bonora che ne fa un album mozzafiato, c’è un mare magnum di utenti che ci provano, alcuni meglio di altri. Tutti vogliono offrire uno spaccato di quel particolare titolo ed è sufficiente pensare alle gallerie di Steam e ai milioni di screenshot che si possono trovare nel database della piattaforma di Gabe “fatemi dimagrire” Newell.
oggi su Instagram ci sono centinaia di utenti che aprono profili sedicendosi fotografi virtuali professionisti
Però… però: nel tentativo di chiarire quanto più possibile il tipo di lavoro che c’è dietro a catture virtuali professionali abbiamo parlato di “raccontare un gioco”, di “scatti cercati”, di “migliaia di ore di pratica in-game”, di “formazione sulla fotografia classica”, ma sono tutte competenze a cui ognuno di noi può tendere. Non dovrebbe esserci un confine tra quello che Roberto potrebbe fare, dedicandocisi, e quello che un “pro” riesce a produrre: eppure c’è. Se ai temi di Electric Blue Skies non c’era grande concorrenza, oggi su Instagram ci sono centinaia di utenti che aprono profili sedicendosi fotografi virtuali professionisti, per quanto i loro screenshot sembrino appunto “un clic più un filtro”. Viste le collaborazioni con i publisher di cui scrivevo all’inizio e che legittimano il lavoro di Cristiano Bonora proprio perché selezionato da chi deve promuovere una propria IP, torno lui.
Roberto: Su Instagram ci sono centinaia di profili che offrono screenshot di altrettanti giochi, dai più famosi a quelli meno conosciuti. Essendo quella una piattaforma dedicata alle immagini, dove “vince” chi sa sfruttare meglio gli hashtag e gli algoritmi, in che modo viene premiata la qualità offerta dal tuo lavoro? Mi spiego meglio: per chi fa il tuo lavoro come si trasmette la propria professionalità per raggiungere una commessa e vedere la propria “arte” giustamente retribuita?
Cristiano: Io ammetto di essere un disastro con i social, ma la sensazione è che il successo di un profilo dipenda da tante variabili sfuggenti, inclusa una certa casualità. Seguo profili di elegante fotografia virtuale con poche centinaia di follower, laddove di molto mediocri ne contano decine di migliaia. Nonostante Instagram sia il canale su cui sono più seguito, i contatti di lavoro sono sempre arrivati da Facebook, mentre gli sviluppatori tendono a palesarsi solo su Twitter. A un certo punto ho sentito il bisogno di un sito personale per diverse ragioni: disporre di una vetrina professionale dove comunicare in modo netto la mia Virtual Photography, mostrare gli scatti a una qualità impossibile sui social, concentrare in una sede stabile i miei scritti sulla materia.
Roberto: Approfondiamo un attimo quest’ultimo aspetto, ossia quello degli “scritti in materia” che, forse più di altri elementi di contorno, possono inquadrare il lavoro di un fotografo virtuale nella sua sfida a voler “raccontare” un videogioco per immagini professionali. Sul tuo sito c’è un manifesto chiaro, quasi fosse una dichiarazione d’intenti che mette dei paletti piuttosto espliciti e che, senza troppi scrupoli, definisce la virtual photography come qualcosa di “nuovo” ancora in divenire. Quale obiettivo avevi quando hai scritto il manifesto e cosa vorresti che portasse, anche indirettamente?
Cristiano: Immagino che le persone arrivino al mio sito con una ricerca immagini di Google, un link da un social o da un articolo di settore. In questa fase penso vogliano solo vedere e magari scaricare screenshot di qualità di giochi che apprezzano. Prima che chiudano il browser, voglio dargli l’opportunità di scoprire cosa sia la VP, quanto abbia in comune con la fotografia tradizionale e che possibilità esclusive offra questo linguaggio. Benché includa valutazioni personali, ho cercato di redigere un documento sintetico il più oggettivo e condivisibile possibile. È insieme un testo descrittivo e programmatico.
voglio dargli l’opportunità di scoprire cosa sia la VP, quanto abbia in comune con la fotografia tradizionale e che possibilità esclusive offra questo linguaggio
Spiega cosa sia la VP ma anche dove io intenda portarla. A breve desidero integrarvi riflessioni più personali, per raccontare anche il fotografo dietro le foto, e soprattutto una risposta non polemica alle più diffuse obiezioni tese a sminuire o squalificare la VP a priori. Obiezioni che paradossalmente arrivano più dai giocatori che non dai settori più tradizionali delle arti visive, che guardano con curiosità alla VP o alla peggio si limitano a ignorarla. “Sono solo screenshot”, “il merito è tutto dei grafici del gioco”, “chiunque può farlo”. Sfogliando Instagram spesso è proprio così, ma allora non si tratta di buona VP, che può e deve gettare uno sguardo potente sul gioco, foss’anche solo per celebrarlo.
Arrivato a questo punto torno a sfogliare la mia galleria di A Plague Tale: Innocence e rifletto sul tempo trascorso per catturare ciascuna di quelle immagini. Gli ho dedicato molto amore, sì, ma nell’osservare con attenzione alcune inquadrature è facile capire quanto il mio approccio sia stato superficiale. Ho riflettuto sulla composizione dell’immagine? Avevo in mente ciò che volevo catturare o mi sono semplicemente fermato dicendomi “va’ che bello: scattiamo!“? Ho provato a utilizzare gli strumenti dell’Ansel per cambiare le impostazioni? Ma anche se lo avessi fatto, le avrei cambiate con cognizione di causa o avrei spostato gli indicatori a caso per poi scegliere il risultato che mi garbava di più? Ciascuno di noi (e vale anche per i tanti “professionisti” su Instagram) sa rispondere a queste domande quando cattura un fermoimmagine. Ciascuno di noi, in cuor suo, è consapevole del grado di pressapochismo con cui ha raccolto settordici mila screenshot di questo o quel gioco, pensando di essere un fotografo virtuale. La realtà è questa: alcuni si accontentano di divertirsi senza impazzire o prendersi troppo sul serio; altri si mettono a studiare per fare un “salto” di qualità senza per forza volerne fare un mestiere. Nel mezzo ci sono quelli che usano i filtri di Instagram per fare più like… ma la rubrica sul rapporto tra la salute (mentale) e videogiochi la cura Francesco Margheriti, quindi perché dovremmo parlarne qui?
Nota
L’immagine in apertura, quella che potete vedere in home page, è THE SMOKING MAN – Red Dead Redemption 2 di Cristiano Bonora, 2020.
Questo articolo contribuisce a sostenere la ricerca scientifica sulla sindrome di Rett. Trovate i dettagli dell’iniziativa a questo link.
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Un altro articolo che recupero “con sommo ritardo” e che mi accompagna alla conoscenza di una distinzione importante del quale proprio non avevo idea. Probabilmente colpevole il mio poco bazzicare per i social e l’utilizzo quasi nullo della cattura da Pc o Console. Inutile dire che gli scatti di Cristiano sono spettacolari, Spider-Man e L’uomo che fuma i miei preferiti. Chiudo ringraziando il buon Roberto per queste chicche davvero interessanti. Mi piace imparare cose nuove. 😉🍻