Esiste un collegamento fra saper giocare ed essere intelligenti?

Dall'Università di York uno studio particolare ci spiega se esiste questa possibilità

Videogiochi e Salute di Francesco Margheriti

Giocare ai videogiochi rende più intelligenti? Mmm… no, purtroppo ancora no. E’ un peccato, ma, scienza alla mano, non possiamo ancora affermarlo con assoluta certezza. Però, c’è sempre un però.

C’è una cosa che accomuna League of Legends, DOTA 2, Destiny e Battlefield 3.

Questa cosa è uno studio fatto dall’Università di York, Regno Unito, che ha voluto valutare se c’è un qualche collegamento fra saper giocare e intelligenza, studio, tra l’altro, pubblicato su PLOS.

Nonostante tutti gli sforzi, come detto prima, chi gioca di più non diventa più intelligente ma, stando a quanto scoperto, chi sa giocare è, di solito, più intelligente o, per la precisione, ha un risultato maggiore nel test del QI.

Bisogna precisare una cosa… bisogna saper giocare a determinati giochi per vedere questo tipo di correlazione.

Gli studiosi infatti sono partiti da quelli che, ad oggi, sono dati oggettivi e che, cioè, vedono il saper giocare a scacchi come valutazione equivalente ai risultati del test del QI.

Chi sa giocare a scacchi, chi riesce a competere ad alti livelli, ha un QI superiore alla media, dati alla mano.

Di conseguenza, i ricercatori di York, hanno cercato di capire quale possa essere una tecnologia moderna che sia indicativa come gli scacchi. Da qui, la scelta del videogioco, soprattutto quel tipo di intrattenimento che permette al singolo soggetto di entrare in competizione con altre persone, in tempo reale e che porti il corpo a mettere in atto strategie di vario tipo.

Ad oggi, quindi, dopo diverse valutazioni e studio di dati, i videogiochi che più si avvicinano alla filosofia degli scacchi sono i giochi multiplayer online, giochi dove alla base abbiamo il gioco di squadra, il raggiungimento di determinati obiettivi, la competizione, la strategia, i riflessi e la velocità di pensiero.

I ricercatori dell’Università di York, facente parte di due dipartimenti distinti, quello di Psicologia e quello di Informatica, hanno messo in piedi uno studio suddiviso in due parti.

Psicologia ha valutato 56 soggetti, esperti di League of Legends, scelti in tutta la Gran Bretagna, dopo attenta ricerca (classifiche nazionali, numero di partite giocate, età, anzianità di gioco, ecc…), e, attraverso vari test, oltre al classico Test per il QI, hanno osservato una correlazione tra prestazioni in gioco e risultati nei vari test.

Chi si posizionava più in alto nelle classifiche di gioco presentava risultati migliori nei singoli test.

Gli studiosi di Informatica, invece, grazie a vari database forniti, anche, dagli sviluppatori stessi dei giochi, si sono concentrati sull’analisi dei dati di partite classificate di LoL, DOTA 2, Destiny e Battlefield 3.

In questo tipo di valutazione è stato notato come, all’aumentare dell’età, i risultati, nei giochi MOBA (Multiplayer Online Battle Arena), andavano di pari passo. Cioè, più un giocatore era “vecchio”, maggiore era la probabilità che si classificasse in alto nelle varie partite.

Questo non succedeva, invece, nei giochi appartenenti alla categoria FPS, come Destiny e Battlefield 3.

In questo caso, più bassa era l’età, maggiore era la capacità di gioco.

Probabilmente il tutto è spiegato dal fatto che, mentre i primi si basino soprattutto su pazienza, ragionamento, memoria e lavoro di squadra, attività e peculiarità che si sviluppano col tempo, di pari passo con l’avanzare dell’età, i secondi si basino sulla velocità di decisione, maggiore intuizione e riflessi maggiormente pronti, cose che si perdono strada facendo, invecchiando praticamente.

I ragazzi però che presentavano maggiore abilità dei giochi FPS risultavano meno performanti nei vari test di intelligenza.

Secondo uno degli autori, il Dott. Alex Wade, del Dipartimento di Psicologia e Digital Creativity Labs dell’Università di York, “giochi come League of Legends e Defense of Ancients 2 (DOTA 2) sono complessi, socialmente interattivi ed intellettualmente impegnativi; la nostra ricerca suggerirebbe che la performance in questi giochi può essere una misura di intelligenza”.

La scoperta della correlazione fra abilità di gioco ed intelligenza apre una nuova strada. Ad esempio, oltre ai vari classici e ormai utilizzati da anni, quindi forse vetusti, test per il QI, il videogioco può essere usato come mezzo globale per avere ancora maggiori dati, a livello mondiale, di facile accesso, sviluppando campi come la “epidemiologia cognitiva” e, anche, come strumento per valutare l’aumento o decadimento delle funzioni cognitive di ogni singola persona, lungo il corso della propria vita.

Quindi, come sostengo da tempo e come sostiene anche il Prof. Peter Cowling, direttore del Digital Creativity Labs, il videogioco può e deve diventare strumento al servizio della popolazione per quanto riguarda la ricerca in salute e psicologia.

Ora, mi raccomando, se siete bravi, ma veramente bravi in League of Legends o DOTA 2, potete andare in giro a dire di essere, con molta probabilità, più intelligenti della media.

 

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0186621

Exploring the relationship between video game expertise and fluid intelligence, di Athanasios V. Kokkinakis,  Peter I. Cowling,  Anders Drachen,  Alex R. Wade

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