Giocare con i videogiochi può essere utile in caso di dislessia?

Alcuni studi, tra cui due italiani, sembrano confermare che...

Videogiochi e Salute di Francesco Margheriti

Cosa hanno in comune alcuni attori di Hollywood come Tom Cruise, Orlando Bloom, Robin Williams, alcuni sportivi quali Muhammad Alì, Magic Johnson, Diamond Dallas Page e menti eccelse come Leonardo da Vinci, Picasso e John Lennon?

Spesso si sente parlare di dislessia, soprattutto quando si tratta l’argomento dei ragazzi in età scolare e la loro applicazione allo studio.

In realtà le persone che soffrono o presentano questa condizione sono più di quelle che ci si immagina.

La dislessia, senza entrare troppo nello specifico, è una delle varie forme che i DSA possono presentare, dove per DSA si intendono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

Nel particolare, la dislessia o il dislessico trova difficoltà nella codifica di un testo, nella lettura, nella comprensione del labiale, nello scrivere velocemente, con una maggiore facilità di stanchezza quando il soggetto deve leggere, comprendere e poi rispiegare quello che ha appena letto.

I dislessici devono concentrarsi più di una persona che non soffre questa situazione e deve impegnare il massimo delle proprie energie per fare quello che agli occhi della maggior parte sembra normale, per questo motivo, quindi, la capacità di attenzione risulta limitata a livello di tempistiche, con il così detto motto, in età scolare, del “si impegna, è intelligente, ma non si applica come dovrebbe”.

Allo stesso modo però, il dislessico, statisticamente, è una persona che sviluppa, come per controbilanciare, maggiori capacità creative e maggiore empatia verso qualsiasi forma di arte.

I meccanismi alla base di questa situazione sono più complicati di quello che si crede, con studi che dimostrano come aree fra loro lontane del cervello sia a livello di posizione anatomica sia a livello di compiti neurologici hanno invece legami legati a questa condizione di disturbo.

Ma tutto ciò cosa ha a che fare con il mondo videoludico?

Strano ma vero, da qualche anno, dal 2012 circa, si parla di collegamenti fra miglioramento delle capacità di apprendimento ed utilizzo del media videoludico. Da sempre, per ovviare a tale condizione, gli specialisti hanno sempre consigliato grandi quantità di ore da passare sui libri a leggere o a ricopiare quanto scritto, metodiche che hanno portato sicuramente dei benefici ma che spesso, a causa della grande fatica che il bambino era costretto a sopportare quotidianamente, portava all’abbandono della terapia o alla non applicazione in maniera corretta e continuata.

Ricercatori italiani (strano ma vero), grazie alla collaborazione con l’Università di Padova, nel 2013 hanno pubblicato su Current Biology un articolo nel quale esplicavano i collegamenti che ci possono essere fra passare una buona parte della giornata a giocare e il miglioramento dell’apprendimento e dell’applicazione da parte dei soggetti che soffrono di questa forma di DSA.

Lo studio, con a capo il Prof. Andrea Facoetti e il Prof. Simone Gori, ha previsto la partecipazione di venti bambini dislessici, raggruppati per QI, capacità di lettura e capacità fonologiche, divisi in due gruppi, con il primo che ha giocato per nove giorni, 80 minuti al giorno, a giochi di avventura, mentre il secondo ha giocato giochi non action.

Il gioco usato come base era Rayman Raving Rabbids, di Ubisoft, dal quale sono stati estrapolati alcuni minigiochi, alcuni con caratteristiche proprie dell’action game e altri con caratteristiche non-action.

Fra questi, i minigiochi Bunny Hunt, Shake Your Booty, Bunnies Are Addicted to Carrot Juice e Bunnies Can’t Fly, Bunnies are heartless with pigs, Bunnies don’t understand bowling.

Il primo gruppo, quello composto da bambini che hanno giocato giochi con caratteristiche action, ha mostrato significativi miglioramenti nella capacità di lettura, nella velocità di lettura e nella capacità di fare meno errori fonetici, cosa che non si è vista nel secondo gruppo. Miglioramenti, tra l’altro, che non si vedono in soggetti che soffrono dello stesso disturbo e che riescono ad applicarsi per un anno alla terapia tradizionale.

Questo, probabilmente, è dovuto al fatto che i videogiochi d’azione presentano peculiarità che spingono l’individuo ad usare anche la visione periferica, con un maggior flusso di informazioni che devono arrivare al cervello e devono essere rielaborate in pochissime frazioni di secondo.

Oltre a questo, a differenza dei metodi tradizionali per migliorare queste incapacità, si è visto che a distanza di mesi il follow-up e l’applicazione del trattamento terapeutico a base di videogiochi rimaneva alto, con continui miglioramenti, cosa che col trattamento tradizionale non sempre avviene, anzi.

Dopo questo studio, il team di ricercatori ha spostato l’attenzione sui bambini non italiani, ma perché questo?

Una delle critiche riguardo la validità dei loro studi era che l’italiano, rispetto alle altre lingue, risulta più fruibile, quindi di facile lettura, mentre l’inglese no. Per questo motivo i ricercatori hanno deciso di utilizzare lo stesso approccio con bambini australiani. I risultati, fortunatamente, sono stati i medesimi, con un netto miglioramento nella capacità di lettura e comprensione fonologica dopo aver giocato a videogiochi d’azione.

All’estero, invece, si è cercato di capire se oltre ai videogiochi d’azione ci fossero altri possibili espressioni videoludiche utili in tal senso.

Studiosi dell’Università di San Sebastian in Spagna in collaborazione con i colleghi francesi di Grenoble hanno messo in piedi uno studio simile a quello dei ragazzi di Padova dove però venivano usate tipologia di gioco diverse. Oltre ai giochi d’azione, venivano proposti giochi sportivi (calcio e basket).

Alla fine è stato confermato che giocare un gioco d’azione rende più veloce la lettura e la comprensione, cosa che non avviene con i videogiochi sportivi in quanto, dopo un po’ di tempo, il cervello riesce ad anticipare l’evolversi dell’azione, tornando in uno stato di “quiete” e quindi bassa attenzione.

Naturalmente, parlando in termini scientifici, gli studi che propongono l’utilizzo del media videoludico come mezzo per “combattere” la dislessia sono ancora pochi, come pochi sono i soggetti testati. Però, stando a quanto sostengono i ricercatori italiani e i loro colleghi europei, questa deve essere la base sulla quale strutturare ulteriori approfondimenti perché, così come si evolve il mondo e il mondo tecnologico, deve evolversi l’approccio terapeutico andando in contro a quelli che sono i gusti e le abitudini dei ragazzi.

Ulteriori conferme arriveranno fra qualche tempo dove, finalmente, potremmo capire con precisione quale è la giusta dose di videogiochi a settimana per affrontare il problema, quale sarebbe la migliore tipologia e/o quella che porta risultati in minor tempo, portando poi ad un discorso di educazione e di applicazione che dovrebbe includere il medico, il terapeuta e i genitori, fino ad arrivare al completo sdoganamento del nostro passatempo preferito.

Attendiamo fiduciosi…

Ci sono 1 commenti

Moriet_Riberick

Purtroppo so meglio di altri cosa comporta la dislessia e purtroppo so quante persone non abbiano un’idea di cosa significhi esserne affetti. Senza scendere nello specifico, sentire notizie così incoraggianti mi rasserena. Speriamo solo che il tutto non finisca nel dimenticatoio. ☝️😔

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