Immaginate di andare dal medico e tornare a casa con un videogioco. Bellissimo… o almeno lo sarebbe stato per me. Ogni volta che mia madre, da piccolo, doveva portarmi dal “dottore” (così si usa dire dalle mie parti, in Puglia) era un mezzo dramma perché subito la mia mente pensava a punture, siringhe, supposte e medicine dal dubbio gusto.
Come già accennato in un altro articolo alcune case produttrici cominciano a spostare il proprio target di vendita verso il campo medico, perché diventa sempre più forte il legame fra tecnologia e salute. Il processo è sicuramente lungo ma, con la perseveranza, spesso si raggiunge l’obiettivo prefissato, come successo per i ragazzi di Akili Interactive.
Dopo un periodo di studi clinici (cinque in totale) durato sette anni, condotti su 600 pazienti pediatrici, EndeavorRx, il gioco, sviluppato dagli Akilians (così si fanno chiamare gli scienziati e tecnici che lavorano per Akili Interactive Labs), ha mostrato interessanti capacità nell’accelerare il miglioramento delle funzioni di attenzione dei bambini – tra gli 8 e i 12 anni – che soffrono di DDAI (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività).
Il videogioco in questione, disponibile su App Store, per iPhone e iPad, bisogna specificare, non è fruibile per tutti ma può essere utilizzato dopo prescrizione medica, all’interno di un percorso terapeutico più complicato.
La DDAI è una situazione fisio-patologica molto complessa e sfaccettata. Non tutti i soggetti soffrono delle stesse problematiche, quindi la terapia deve essere, per forza di cose, personalizzata nei minimi dettagli. Allo stesso tempo la DDAI colpisce sempre più soggetti in tutto il mondo, sia in età pediatrica che in età adulta anche se, in questo caso, è più difficile diagnosticarla. Il gruppo che ha prodotto il gioco consiglia un approccio a livelli, prima di intraprendere questo percorso.
Gli scienziati propongono prima di discutere con il proprio specialista di questo nuovo strumento di cura, spiegando e portandolo a conoscenza del prodotto e poi, una volta deciso insieme e dopo contatto, Akili provvederà a contattare il tutore del bambino e il professionista che segue il caso, per spiegare nel dettaglio il protocollo e le tempistiche.
Di base parliamo di un videogioco che stimola determinate aree del cervello attraverso un’esperienza stimolante dal punto di vista della sfida e dell’attenzione. Il gioco sembra simile a tanti altri presenti da tempo sui vari store (sia Apple che Android), dove abbiamo il protagonista che corre e l’utente che deve “tappare” al momento giusto sullo schermo per spostare, far saltare, far raccogliere o far fare qualsiasi altra azione, senza mai interrompere la corsa.
Ogni miglioramento nella risposta al gioco viene valutato dal software che, attraverso un algoritmo, si adatta alle capacità, sempre migliori (o almeno quello è l’intento) dell’utente. Tendenzialmente il percorso dura circa tre mesi, giocando circa 25 minuti al giorno, per 5 giorni a settimana; alla fine del terzo mese, il bambino verrà valutato dallo specialista e dal team di supporto e si deciderà se allungare o meno il percorso.
Come abbiamo detto sono stati selezionati 600 bambini circa con diagnosi di DDAI, fra gli 8 e i 12 anni, con un QI (quoziente intellettivo) di almeno 80. I soggetti sono stati divisi in due gruppi, uno collegato all’utilizzo del gioco in questione, l’altro assegnato all’utilizzo di un programma dove bisognava creare delle parole con delle lettere a schermo. I due gruppi venivano poi controllati da remoto e nel caso in cui un bambino non avesse giocato per più di 48 ore di fila, subentrava un assistente di Akili Interactive per contattare i genitori e accertarsi di eventuali problemi.
I risultati sono stati valutati mese per mese e si è visto che, già dopo il primo mese, la risposta dei ragazzi che avevano giocato con il software sviluppato da Akili era migliore rispetto ai ragazzi appartenenti al gruppo di controllo. Inoltre i risultati rimanevano più alti rispetto al gruppo di controllo anche nei successivi due controlli e, altra cosa fondamentale, i ragazzi che giocavano al gioco vero e proprio, tendevano ad usare meno stimolanti rispetto al gruppo di controllo.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, invece, i ricercatori hanno evidenziato, nel 9.3% dei casi, problemi legati a frustrazione, mal di testa, vertigini, nausea e nervosismo, soprattutto in quei soggetti che passavano meno tempo, rispetto alle indicazioni iniziali, a giocare. Gli effetti collaterali sono presenti – ed era una cosa già prevista dai ricercatori – considerando anche la tipologia di malattia ma in misura sempre inferiore a detta loro rispetto al solo utilizzo del farmaco predisposto.
L’obiettivo di questo gruppo di ricercatori/programmatori è stato quello di produrre altri giochi o esperienze videoludiche e interattive anche per altre situazioni legate all’aspetto neurologico e per fasce di età diverse. Naturalmente, non si prefiggono l’obiettivo di sostituire il protocollo farmacologico ma preferirebbero accompagnarlo, proponendosi come acceleratore nel percorso curativo.
Qual è la situazione in Italia?
L’ente europeo per il farmaco e quello italiano, EMA e AIFA, per il momento non si sono espressi in merito. Sicuramente la decisione di FDA (Food and Drug Administration) è molto rilevante in tal senso e probabilmente, nell’immediato futuro, anche nel Vecchio Continente le cose cominceranno a cambiare.
Chi vi vende il prodotto dicendo che con questo videogioco si curano le patologie legate al disturbo di attenzione, vende fumo. Sicuramente però, come acceleratore, coadiuvante e supporto, parliamo di un primo prodotto che farà da apri-pista (e finalmente direi, considerando i tanti esempi di tecnologia legata alla salute di cui abbiamo parlato sulle nostre pagine) a tanti altri.