Il vertice dell’epilogo: undici anni di Marvel Cinematic Universe

Siamo ormai alle porte di Avengers: Endgame, per ingannare l'attesa rivalutiamo il lungo percorso che ci ha portato alla fatidica resa dei conti!

Cinema & Serie TV di Simone Di Gregorio

Anno 2008. Invadeva i cinema il primo caparbio seme di un fenomeno culturale destinato a determinare e declinare un’intera era dell’intrattenimento: sotto la sapiente regia del buon Jon Favreau, Iron Man gettava le basi di un’architettura complessa, elaborata e mastodontica negli intenti, accessibile e democratica nell’accogliere nel suo ampio abbraccio tanto il bambino quanto l’adulto, ricordandoci di continuo la necessità viscerale del confronto, del sogno e – soprattutto – delle storie.

Trascorsi undici anni, forte di 18 mld$ solo di box office e 30 mld$ di valore complessivo, il Marvel Cinematic Universe si staglia senza dubbio come uno dei movimenti sociali più netti del nostro tempo. Se parte degli anni ’80 sono stati monopolizzati da Star Wars, il primo decennio 2000 dalla trilogia de Il Signore degli Anelli di Jackson e dall’arrivo sul grande schermo di Harry Potter, allora è lecito e doveroso affermare che nell’anima degli ultimi due lustri vive il marchio degli eroi della Casa delle Idee.

Non risulta dunque complesso capire per quale motivo Avengers: Endgame sia non solo la conclusione di una parabola narrativa sontuosa (pure se tra alti e bassi), ma anche il massimo punto di climax di un movimento sociale dove ciò che prima – magari con disprezzo – veniva chiamato nerd ora invece passa come pop e cool, nell’estrema massificazione di icone del passato aggiornate per i valori del presente. Sì, perché il Marvel Cinematic Universe brilla in primo luogo della luce del mondo reale, per poi rifletterla nel mondo visionario del superpotere, del dramma e dell’avventura. Derubricare tutto questo ad un mero espediente commerciale e ad una semplice moda è forse il passo immediato di una miopia selettiva che volutamente difatti decide di non considerare i punti di forza dell’opera magna portata avanti da Disney e Marvel Studios. In questo articolo cerchiamo quindi di ripercorrere – attraverso un flusso di pensieri libero – l’eredità del Marvel Cinematic Universe, in vista proprio dell’imminente epilogo delle tre fasi della Saga dell’Infinito. Prima di continuare, vi ricordiamo che Avengers: Endgame sarà nella sale dal 24 aprile, con la nostra recensione in arrivo – nemmeno a dirlo – nei prossimi giorni.

 

Fase 1: Avengers Assemble

Iniziamo subito a mettere le cose in chiaro: Marvel Studios e Disney non hanno inventato la ruota, ma l’hanno perfezionata a tal punto da farla divenire un meccanismo quasi perfetto. Il concetto di cinecomic si perde infatti nei primi anni ’90 – basti pensare al Batman di Burton, ad esempio – e si estende in realtà in particolare all’aprirsi del nuovo millennio con pellicole come X-Men ed il seminale Unbreakable di Shyamalan, percorrendo nel primo caso il solco action/pop già segnato da Matrix, nel secondo una tendenza più cupa e drammatica (quasi noir diremmo) che sarà poi esplicata pure dagli Spider-Man di Raimi. Se mettiamo tuttavia da parte il successo incerto di singole pellicole, appariva chiaro – al tempo – come in realtà il potenziale del genere non fosse stato ancora a pieno sfruttato. L’organicità dei cicli narrativi su carta dava difatti adito all’idea di una architettura cinematografica su decine di elementi, un progetto a lungo termine che sarebbe poi – con l’intervento di Disney a cose già avviate – cresciuto in scala per andare confluire in quello che oggi è l’epilogo prima di Infinity War, poi di Endgame.

E’ un caso curioso che l’inizio del cinecomic come oggi lo conosciamo, nell’accezione commerciale, coincida con il picco qualitativo della sua connotazione più autoriale: il 2008 non è infatti esclusivamente l’anno di Iron Man, ma pure e in primis quello de Il Cavaliere Oscuro; in un anno due scuole di pensiero diametralmente opposte, eppure una complementare all’altra. Da una parte una visione edulcorata e dedita alla massa, dall’altra il gusto post moderno tipico del reietto uomo pipistrello. Proprio in questo contrasto riusciamo a notarlo; Iron Man aveva già racchiuso in un nocciolo tutto quello che il Marvel Cinematic Universe ad oggi rappresenta, la totale accessibilità del sogno, quell’immediata immedesimazione, tanto del bambino quanto dell’adulto, nell’eroe e nella sua avventura.

Questa tripletta riesce nell’impresa più importante: costruire personaggi iconici attorno ad un casting perfetto

Muovendo da quanto di buono fatto con Iron Man (a partire da Robert Downey Jr.), quel seme incerto avrebbe faticato ancora molto prima di ottenere la auspicata maturità. Anche se mettiamo infatti da parte il disastro assoluto de L’Incredibile Hulk, non possiamo nemmeno affermare la qualità dei tre film immediatamente successivi: non vogliamo infatti riportare alla mente né il Mickey Rourke di Iron Man 2, né l’imbarazzante intreccio di Thor, né tantomeno l’inutilmente cerebrale origin story di Captain America: Il Primo Vendicatore. Tuttavia, questa tripletta delle meraviglie riesce senza dubbio nell’impresa più importante: costruire personaggi iconici intorno ad un casting perfetto (pregio di tutte le produzioni MCU), in chiave di una pellicola corale volta a raccoglierli tutti. Difficile infatti immaginare un Tony Stark diverso da Robert Downey, un Thor diverso da Chris Hemsworth o uno Steve Rogers diverso da Chris Evans (o un Bruce Banner diverso da Edward Norton).

Il filrouge del nucleo centrale di The Avengers (2012) sta come risultato di ciò tutto nella perfetta chimica tra gli eroi, nella declinazione del ritmo a tratti spensierata (che iniziava a delinearsi), in una nemesi mai così carismatica (lo splendido Loki di Tom Hiddleston) e infine nell’azione senza freni dal sapore dell’epica. A questo proposito, la Battaglia di New York nelle battute finali del film, col suo sintetizzare ognuno dei sopracitati elementi, si impone a mani basse nelle retine dei milioni di spettatori come la prima immensa vetta qualitativa del Marvel Cinematic Universe, che con la Fase 2 era una volta per tutte pronta a decollare verso la direzione attuale.

Fase 2: Age of Ultron

Fin dall’inizio, superato l’imponente climax dello scontro contro Loki, la cosiddetta Fase 2 del Marvel Cinematic Universe aveva a tutti i costi la necessità di aumentare la posta in gioco, di nuovo sotto l’attenta e maniacale osservazione di due menti illuminate quali quelle di Joss Whedon e Kevin Feige, rispettivamente il regista di The Avengers e il Presidente di Marvel Studios. Il primo film di questa seconda fase, Iron Man 3 (2013), mette subito bene in chiaro un concetto fondamentale alla base dell’Universo Cinematografico formatosi: non vuole essere uniforme alla controparte cartacea, trattandosi per l’appunto di un linguaggio diverso che non può ricongiungersi a pieno col materiale originale. Il colpo di scena del Mandarino in Iron Man 3 – per quanto poco apprezzato da molti – scolpisce a caratteri chiari e tondi questo principio, una sorta di estrema dichiarazione identitaria di una pianificazione creativa che evita ad ogni costo la prevedibilità, nel continuo tentativo di stupire lo spettatore, portarlo al confronto e – non per ultimo – fidelizzarlo, così da costruire alla fin fine una immensa community.

The Winter Soldier rimane a distanza di anni un film eccellente sotto ogni versante

Glissando dunque sul terribile Thor: The Dark World, l’imprevedibilità torna per l’appunto a caratterizzare l’intero impianto narrativo di Captain America: The Winter Soldier, le cui vicende – totalmente inaspettate – portano a distruggere tutto quello che pensavamo di sapere sull’immaginario Marvel, confondendo la sottile linea tra bene e male e, anzi, annullandola in toto. La Romanoff e Steve Rogers in fuga dalla stessa organizzazione che avrebbe dovuto affiancarli e proteggerli, Nick Fury – all’apparenza – ucciso dal misterioso Soldato d’Inverno e – per non farci mancare nulla – una sottile critica/riflessione sociale sulla nostra volontaria rinuncia alla libertà in favore di sicurezza e comodità. Non credo di essere il primo a dirvi quanto The Winter Soldier rimanga a distanza di anni un film eccellente sotto ogni versante, dal ritmo implacabile e dalla scrittura intrigante e a tratti spietata; un lungometraggio da lodare con pochissime riserve e che risulta una delle sacre punte di diamante del MCU.

 

 

Laddove tuttavia The Winter Soldier affondava in un insieme di sottotrame politiche e partiva dalla consolidata ucronia successiva alla seconda guerra mondiale, James Gunn con Guardiani della Galassia di contro stilava a grandi linee la prospettiva cosmica del Marvel Cinematic Universe, continuando il lavoro di The Avengers nell’anticipare lo scontro contro Thanos (che qui per la prima volta appare nei panni di Josh Brolin) e introducendo l’importantissimo deus ex machina narrativo delle gemme dell’infinito. Oltre alla sua immensa rilevanza nella diegesi del mondo Marvel, Guardiani della Galassia ha chiaramente fatto scuola col suo ibridare commedia, dramma, avventura ed effetto nostalgia; caratteristiche, queste, che a fronte della loro enorme risonanza con il pubblico, hanno finito per essere applicate in molte produzioni di casa Disney e non (qualcuno ha detto Thor Ragnarok?), con risultati quasi mai paragonabili al mix originale. Alla base di Guardiani in ogni caso ci sono in primo luogo di nuovo i suoi personaggi, ognuno caratterizzato e coerente nel suo atteggiamento spesso spaccone e sopra le righe: non a caso Peter Quill, Drax, Groot, Rocket e Yondu sono tra i protagonisti più universalmente amati da ogni fan.

La sceneggiatura di Joss Whedon ci porta ad empatizzare con Ultron

Chiusa la parentesi cosmica, ecco che la Fase 2 arriva al suo punto di massima tensione con Avengers: Age of Ultron, destinato da un lato a chiudere quanto avviato con The Winter Soldier, dall’altra a trasformarlo e confluirlo nei contrasti che daranno il via a Civil War e allo smembramento (provvisorio) dei Vendicatori. Sfruttando un topos di genere ormai consolidato (e forse scontato), Ultron – la grande nemesi che dà il nome a questo secondo capitolo – ricorda come il nemico corrisponda il più delle volte proprio alle nostre paure e paranoie, tramutate in uno specchio di noi stessi che, in conclusione, guarda con disprezzo il suo stesso creatore. Nell’Ultron di James Spader c’è tanta, tantissima filosofia, a partire dalle estreme conseguenze del positivismo fino ad arrivare ad una sorta di visione deviata dello stoicismo, entrambe figlie di un singolare sdegno della vergine intelligenza artificiale di fronte alla cupidigia umana e la malata follia da questa derivata. Come quindi sarebbe accaduto con Thanos in Infinity War (sebbene con motivazioni e contesto totalmente diversi), la sceneggiatura di Joss Whedon ci porta ad empatizzare con Ultron, il quale infatti, nonostante tutto, conserva fino alla fine l’intima convinzione di essere dalla parte del giusto, trovando alla fine nella paura della morte addirittura una dimensione umana (mi riferisco all’ultima discussione con Visione).

Se però la minaccia di Ultron poteva dirsi archiviata nel finale della seconda epopea dei Vendicatori, lo stesso non poteva essere detto delle conseguenze di un disastro che – in fin dei conti – nasce e muore proprio a causa di Tony Stark e degli Avengers. Il che ci porta in conclusione – superato il riempitivo certo non memorabile di Ant-Man –  alla fase 3, verso Captain America: Civil War.

Fase 3: Infinity War

Toccare il fondo per risalire. Questo potremmo affermare essere il fil rouge della terza fase del Marvel Cinematic Universe, che – a scanso di equivoci – inizia proprio con uno degli archi narrativi più cupi e malinconici della serie, sulla falsa riga del tono epico, compresso e drammatico del The Winter Soldier diretto da Joe ed Anthony Russo. I due – diventati figure chiave di Marvel Studios dopo l’allontanamento di Joss Whedon dal progetto – portano di nuovo su schermo con Captain America: Civil War eroi devastati dalla responsabilità delle loro azioni, talmente sconvolti da essere disposti – almeno alcuni – a rinunciare alla loro indipendenza; il casus belli del prologo è solo un pretesto, le radici della guerra civile risalgono fino alla battaglia contro i chitauri in The Avengers. Il durissimo scontro tra Tony e Steve non appare difatti semplicemente fisico, ma prende forma anche e soprattutto sul piano ideologico.

Il crollo definitivo dell’atmosfera rarefatta e monocromatica della Fase 1 trova in Civil War il suo punto di non ritorno

Da una parte l’oppressione dell’onere del paladino e il senso di colpa – pure personale – delle scelte sbagliate, dall’altra la libertà indomita del soldato, prole del sogno americano privo di catene di cui Captain America risulta figura esplicita. Due forze uguali ed opposte, fuoco e ghiaccio, un tempo alleati, ora con malinconia avversari. Il crollo definitivo dell’atmosfera rarefatta e monocromatica della Fase 1, già scalfita con gli eventi relativi al Soldato d’Inverno, trova nello spettacolare e partecipato combattimento tra Tony Stark e Steve Rogers il suo punto di non ritorno, in una tempesta di emozioni che vede nel lutto e nella vendetta silenziose matrici. Gli strascichi di questa netta separazione tra i due “volti” dei vendicatori si propaga fino al recente Infinity War, se non oltre; per una scelta dei fratelli Russo infatti Tony e Steve non condividono mai la scena nel terzo capitolo di Avengers, si incontreranno solo ed esclusivamente a tragedia compiuta nel prossimo Endgame.

Prima della definitiva resa dei conti, a fare da contraltare al sostrato denso e cupo di Civil War pensano in primo luogo Thor: Ragnarok, Guardiani della Galassia Vol.2 e Spider-Man Homecoming. Tra i tre, Homecoming risulta sicuramente il traguardo di maggiore interesse, non solo per un convincente Tom Holland nei panni del giovane arrampicamuri, ma anche per l’inaspettato accordo commerciale tra Disney e Sony, la quale tutt’ora detiene i diritti sul personaggio. Trascorso un decennio dalla controversa trilogia di Raimi e conclamata la debacle dello Spider-Man di Andrew Garfield, Peter Parker si univa finalmente al Marvel Cinematic Universe, attraverso un colpo di coda che – al tempo – stupì e mandò in delirio i molti fan sparsi nel globo. A somme tratte, il Peter liceale di Homecoming, che vede in Tony Stark mentore e modello, riesce con successo a bucare lo schermo con una combinazione di ironia pop ed entusiasmo da vanilla nerd, vantando una certa differenziazione con ogni trasposizione passata.

Al netto di quanto detto sopra, la Fase 3 del Marvel Cinematic Universe si evidenzia pure per le contaminazioni – nel senso migliore del termine – politiche e sociali di alcune produzioni, riportando in evidenza quanto difatti le rappresentazioni cinematografiche della Casa delle Idee specchino la realtà e ne propongano una certa parziale interpretazione. Black Panther e Captain Marvelche abbiamo recensito –  sono testimonianza chiara di tale fenomeno e di tale partecipazione al reale da parte di Marvel Studios; l’universo di Kevin Feige è un prodotto di tutti, per tutti, caustico verso le discriminazioni e mai timido nell’esprimere parallelismi diretti o critiche (anche velate) verso determinate ideologie. Esperimenti, questi sopracitati, che ricordiamo avere avuto un successo al botteghino sensazionale (entrambi oltre 1mld$), trascurate a ragione critiche integraliste esulanti il contenuto, review bombing e un astio generale da fasce di pubblico che escono spesso direttamente da movimenti alt-right.

Ecco quindi che a distanza di undici anni riusciamo solo ad intravedere l’eredità culturale lasciata dal primo Iron-Man, un percorso – non privo di passi falsi (e baratri) certo – indubbio protagonista di una generazione, centrale nell’immaginario di ogni bambino e responsabile di gran parte di quello che oggi consideriamo intrattenimento. Portato avanti con coerenza il coraggioso e sconvolgente epilogo di Avengers: Infinity War, la Saga dell’Infinito volge ora al termine con Endgame, facendosi carico di mettere la parola fine ad un ciclo di eventi avviluppato in ben venti film; la posta in gioco è altissima, ma siamo pronti a fronteggiarla a qualunque costo. La nostra recensione di Avengers: Endgame arriverà nei prossimi giorni; se volete un consiglio, seguite il sito!

 

Ci sono 6 commenti

Kasdan80
Kasdan80 "Master of the Universe"
Complimenti, ti sei registrato!NiubboGameplay Café è il mio ritualeGuardone!Chiacchierone!E3 2019 Special!
19 Aprile 2019 alle 13:07

Bellissima recensione, forza la più bella che ho letto su gameplay cafe! Complimenti e continua così!

    sim2000dg

    Non é una recensione, ma un’analisi del Marvel Cinematic Universe in toto.😄 Contento comunque ti sia piaciuta! La nostra recensione di Endgame arriverà mercoledì mattina!

CastroStark

Davvero un bellissimo pezzo! Complimenti, e sopratutto effettivamente l’impatto che il Marvel Cinematic Universe dà e sta dando fa pensare allo stesso impatto che StarWars ha dato e continua a dare! Dopo l’Universo espanso di SW a quanto pare all’orizzonte si staglia anche quello della Marvel!

COLDSEASONS
COLDSEASONS "Master of the Universe"
Complimenti, ti sei registrato!Chiacchierone!NiubboGuardone!Gameplay Café è il mio ritualeJuniorE3 2019 Special!Master
19 Aprile 2019 alle 18:07

Ho dato una sbirciata veloce, sembra un bello scritto. Aggiungo all’elenco lettura; con calma mi faccio questo bel ripassino…ho proprio bisogno di una rinfrescata in vista di Avengers: Endgame!

Ruggilee

Una disamina notevole, che tradisce la comune esperienza derivante la tua giovane età! Complimenti, mi hai fatto salire ancor di più l’hype per Endgame 👊

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