Ellie in The Last of Us: meravigliosa anticonformista in un mondo ostile

La lotta per la sopravvivenza vista dagli occhi di una bambina

Editoriale di gmg215

Empatia, coraggio, proattività. Oppure fragilità, impulsività ed avventatezza. È difficile dire quale sia l’ingrediente segreto per instillare vita pulsante in un personaggio di fantasia. Se poi si rigettano le figure stereotipate di eroi e predestinati, e si sceglie di raccontare le persone normali, allora le possibilità di ottenere una storia memorabile sono generalmente molto basse. Quindi non sorprende che, particolarmente nel mondo videoludico, non vi siano molti sviluppatori che accolgono questa sfida: tanti giochi postulano la straordinarietà dei loro protagonisti, oppure la pongono come obiettivo, spettante di diritto, da riconquistare nel corso dell’avventura. Tanti altri, non si pongono minimamente la questione e puntano a mettere in mostra altre qualità, che trascendono la componente narrativa.

Joel ed Ellie in The Last of Us

Qualche tempo fa, sempre su Gameplay Cafe, ho raccontato quella che era la mia percezione della storia di Lara Croft e, in particolare, della sua battaglia per l’emancipazione. Non in quanto donna (o almeno non solamente) bensì, più in generale, in quanto veicolo di storie.

Dotata di capacità memorabili, la famosa archeologa viene reiteratamente immersa in situazioni altrettanto memorabili: il risultato sono racconti appassionanti, divertenti, scanzonati, meritevoli di essere narrati. Ma non esattamente memorabili. Tanti Tomb Raider sono serviti per intravedere i contorni di una persona in Lara: chissà quanti altri ne serviranno per poter cogliere lampi di vita ed espressività in tutti i suoi gesti e nelle sue parole.

In questo articolo, vorrei parlare di un esempio diametralmente opposto: il caso di un personaggio che, sebbene finora sia apparso solamente in un gioco (e mezzo, contando anche un DLC), ha lasciato un segno indelebile nel panorama videoludico. Si tratta del pinnacolo della rivoluzione artistica guidata da Naughty Dog che, dopo molto tempo, ha riportato in auge nei videogiochi il gusto per la qualità narrativa e, soprattutto, per la caratterizzazione approfondita della psicologia dei personaggi.

Se avete giocato (e dovreste farlo) un gioco chiamato The Last of Us, allora sapete di chi sto parlando: Ellie, poco più che una bambina, è il cuore emotivo di un’avventura straordinaria e memorabile. Non ha particolari abilità eroiche o sovraumane, né è una predestinata di sorta: è una persona normale che viene catapultata, suo malgrado, in circostanze eccezionalmente ostili.

È controllata da noi solamente in una manciata di livelli di gioco, mentre in larghi tratti partecipa all’azione sotto la guida di un’intelligenza artificiale. Eppure, il legame empatico che riesce ad instaurare con noi giocatori è semplicemente portentoso ed eleva l’intero gioco ad esperienza coinvolgente ed appassionante, come poche altre.

Ellie, fulcro emotivo di The Last of Us

Questo articolo è dunque dedicato ad esaminare ciò che rende Ellie così straordinaria nella sua normalità. Quali sono le fonti del suo carisma narrativo e perché, a mio avviso, rappresenta un esempio assolutamente peculiare nel firmamento videoludico, che è solitamente occupato da guerrieri, dei, cavalieri, stregoni, soldati, supereroi, mafiosi giapponesi, cacciatori di mostri, ninja cyborg e, solo in rarissimi casi, da persone.

 

Un viaggio introspettivo in un mondo ostile

Come detto, The Last of Us è essenzialmente una storia di sopravvivenza in circostanze non ordinarie. Il racconto si svolge infatti in un’America devastata da un’epidemia su larga scala: un fungo virale dalle origini non specificate ha causato la degenerazione di milioni di persone in esseri non senzienti ed innaturalmente aggressivi.

I cosiddetti non infetti sono pertanto costretti ad una vita confinata alle aree protette ed al rispetto dei rigidi coprifuochi imposti dalle forze dell’ordine.

In questo contesto facciamo la conoscenza di Joel: un contrabbandiere, cinico per forza di cose, ma non spietato, la cui sola occupazione è la lotta per la sopravvivenza.

Proprio quest’ultima è lo sfondo scelto da Naughty Dog, sotto la guida del creative director Neil Druckmann e del game director Bruce Straley, per vivisezionare il comportamento umano in un contesto in cui i principi morali appaiono meno saldi che mai, persino nelle persone fondamentalmente per bene, la linea di confine fra lecito e necessario tende a confondersi ed il naturale istinto alla preservazione prende il sopravvento. Eppure, la tesi di The Last of Us è che, a dispetto dell’ostilità che può pervadere il mondo, si possono comunque risvegliare sentimenti di solidarietà ed affetto.

Il cuore dell’avventura ha inizio quando a Joel viene affidata una particolare merce di contrabbando da far arrivare fuori città: una bambina di nome Ellie. Intelligente, sveglia, abituata a badare a sé stessa e, soprattutto, nata e cresciuta nel caos dell’epidemia, questa giovane ragazza è, come detto, la protagonista assoluta di The Last of Us.

Si tratta di un personaggio talmente ben concepito e magistralmente scritto che gli aggettivi sfaccettato, tridimensionale e psicologicamente approfondito risultano largamente inadeguati. Ellie trasforma l’intera avventura in un tour de force emotivo di cui noi siamo allo stesso tempo partecipanti ed osservatori: la brutalità degli avvenimenti la costringono ad una maturazione accelerata, persino ad imparare a maneggiare armi da fuoco, ma non possono scalfire la sua intrinseca gentilezza, la sua onesta vulnerabilità e, soprattutto, la sua naturale solidarietà ed empatia nei confronti di tutte le persone che incontra. Questa stoica resistenza a non farsi permeare dalla violenza e dal cinismo della guerriglia, a cui viene quotidianamente sottoposta, è forse la caratteristica più carismatica di Ellie e, alla fine, è qualcosa che riesce a passare anche a Joel. Questa varietà caleidoscopica di sentimenti, in continua evoluzione, viene ampiamente esaminata nel gioco.

Il taglio narrativo di The Last of Us, infatti, non è particolarmente didascalico, né dettagliato in termini fattuali: il medesimo incipit, ovvero la pandemia e le conseguenti orde di esseri infetti, può essere riconosciuto in innumerevoli altre produzioni videoludiche. Dalla mia esperienza posso citare la serie di Resident Evil. Tuttavia, il capolavoro Naughty Dog non si preoccupa troppo dell’origine del virus, né di quale piano malvagio vi si celi dietro (ammesso che ve ne sia uno): il virus rappresenta semplicemente la situazione non ordinaria in cui immergere i suoi protagonisti.

L’attenzione è rivolta piuttosto all’introspezione e alla caratterizzazione psicologica dei personaggi: immaginate di osservare un quadro gigantesco dai contorni sbiaditi, in cui il nostro sguardo viene guidato verso i dettagli microscopici delle figure rappresentate.

Questo approccio fortemente intimo ed introspettivo non è assolutamente comune nei videogiochi: infatti The Last of Us è una gemma in un territorio inesplorato, o quasi. Esistono produzioni che puntano essenzialmente sul gameplay, altre che privilegiano la storia e le sue possibili ramificazioni (ad esempio le avventure di Quantic Dream, molto in auge di questi tempi grazie all’uscita di Detroit), ma nessun gioco riesce a sposare narrativa e sistema di gioco meglio dell’avventura di Joel ed Ellie.

Gli avvenimenti avanzano di pari passo con il rapporto tra questi due protagonisti: il progressivo ritorno all’umanità dell’abbrutito Joel si sovrappone con la repentina maturazione di Ellie.

L’avventura come viaggio introspettivo

Senza scendere nei dettagli di trama, per non rovinare l’esperienza a che volesse avvicinarsi al gioco, si può dire che ogni difficoltà affrontata contribuisce concretamente ad avvicinare le parabole di questi personaggi. In questo senso, è persino troppo scontato il parallelo con Kratos e suo figlio Atreus nel recentissimo e bellissimo God of War: in quel caso, tuttavia, la relazione parentale e la condizione non esattamente umana dei diretti interessati leniscono inevitabilmente l’universalità della loro storia e pertanto smorzano leggermente la tensione emotiva che essa sprigiona. Ellie e Joel non avevano alcun legame prima di essere costretti a collaborare. Questo rende i sentimenti paterni che Joel inizia a nutrire lungo il percorso ancora più significativi e sorprendenti. Il mondo circostante, violento e brutale, funge sapientemente da contrasto e cassa di risonanza per questa sfera affettiva. Inoltre, tutti gli elementi di gioco sono stati concepiti per esaltare l’emotività delle varie scene, sottolineando il fatto che i personaggi stanno combattendo per la vita. In particolare, il sistema di telecamere è stato programmato ad arte per indugiare quanto più frequentemente possibile sui volti di Joel ed Ellie durante gli scontri con gli infetti, in modo da mostrarci lo sforzo e la fatica sostenuti a fronte dell’altissima posta in gioco.

Lotta per la sopravvivenza

Come detto, il ritmo della narrazione non è guidato solo dagli accadimenti, ma anche e soprattutto dallo stato emotivo dei protagonisti: vi sono spesso fasi interlocutorie, nel mezzo delle sequenze di azione, in cui si può tirare il fiato e riposizionare l’attenzione sulle persone ed i loro viaggi interiori. In queste occasioni ad Ellie viene concesso di esprimere, seppur timidamente, per non destabilizzare chi le sta accanto, le proprie paure.Da un lato vi è la paura del pandemonio che la circonda, dall’altro la paura di coltivare affetti per le persone che, un momento sono assieme a lei, ma che il momento dopo potrebbero venire a mancare.

 

Left Behind: l’evoluzione di Ellie

Vorrei fare l’esempio della sua migliore amica Riley. Quest’ultima è la coprotagonista di buona parte del DLC Left Behind, che esplora alcune delle lacune temporali lasciate dalla trama principale. Ellie e Riley sono amiche d’infanzia, tuttavia a seguito dell’arruolamento di quest’ultima nel gruppo clandestino delle Luci, sono costrette a separarsi. L’intero DLC ci racconta una nottata di scorribande delle due amiche per i luoghi in rovina della città, ad esempio un vecchio parco giochi abbandonato. Il tono del racconto è ancora più contemplativo ed esplorativo di quello del gioco principale: viene dato ampio spazio ai dialoghi e solo di rado vi sono scontri concitati (sebbene siano scene molto adrenaliniche e rese ancora più intense dalla limitata capacità offensiva di Ellie). Le due ragazze provano a vivere con spensieratezza il tempo che passano insieme, nonostante sappiano benissimo che si tratti solo di un breve intermezzo: al mattino Riley dovrà tornare dalle Luci ed Ellie dovrà rincasare all’orfanotrofio.

Ellie e Riley

Col trascorrere delle ore Ellie sente avvicinarsi l’addio imminente e si persuade a manifestare i suoi sentimenti nei confronti dell’amica, vincendo cosi la sua reticenza, dovuta alla precarietà del momento ma non solo. L’omosessualità è solamente un altro dei tratti che rendono Ellie un personaggio assolutamente originale ed estremamente pregno di potenziale narrativo. Non vi è alcun dubbio che questo aspetto venga approfondito in The Last of Us Parte 2.

Left Behind alterna la narrazione di due scenari differenti in due momenti temporali differenti: il primo narra, appunto, della riunione fra Ellie e Riley ed è antecedente all’avventura principale, mentre il secondo ci mostra come Ellie si prenda cura di Joel nel momento in cui questo è stato gravemente ferito. Evitando di svelare la trama a chi dovesse ancora giocare, possiamo posizionare questo secondo evento verso la fase conclusiva del cammino narrato in The Last of Us. Pertanto, si colgono in maniera molto chiara i segni dell’evoluzione di Ellie nel tempo: spensierata ed incosciente nel parco giochi con la ragazza di cui è infatuata, prima, impegnata a salvare la vita al suo unico amico, poi. Tutto è cambiato. Persino la fisicità dei suoi scontri con gli infetti e con gli uomini che danno loro la caccia appare differente: Ellie, suo malgrado, ha imparato a combattere. Ha dovuto imparare: non è stata una scelta.

In ogni momento, tuttavia, il suo calore umano non viene mai meno: è a questo che noi giocatori ci aggrappiamo, per tutta la durata dell’avventura.

 

Conclusione: ancora molto da dire

Una descrizione efficace e sintetica di Ellie è stata data dall’attrice che l’ha (magistralmente) interpretata, Ashley Johnson, la quale, in occasione della sua seconda vittoria consecutiva (cosa mai successa prima) ai prestigiosissimi premi inglesi Bafta, ha definito così il suo alter ego:

“[…] Ellie è un personaggio femminile forte che non viene né sessualizzato né trattato come una damigella in pericolo e neanche l’opposto di queste due cose. È vulnerabile, gentile, leale ed è la ragazza che probabilmente non sarebbe stata popolare a scuola. […]”

Ellie, in The Last of Us Parte 2

Come avrete notato, non ho menzionato il finale di The Last of Us: sono in molti a considerarlo tra i migliori che siano mai stati scritti ed io tendo ad essere d’accordo. Si tratta di una quadratura della storia immensamente soddisfacente, che avrebbe funzionato bene anche come conclusione definitiva della storia di questi personaggi. Non aggiungo altro: chi ha giocato sa cosa intendo. Personalmente sono felice che invece la storia continui: come ho sottolineato più volte nel corso dell’articolo, credo che il potenziale narrativo in gioco sia veramente alto, per contenuto ed originalità.

Quanto visto all’E3 ci conferma che The Last of Us Parte 2 si concentrerà sempre più sulla sua protagonista, esplorando la sua crescita personale e come guerriero per necessità. In attesa di questo atteso sequel, lunga vita ad Ellie ed a tutti i personaggi anticonformisti, originali e che non hanno bisogno di essere eroi per vivere una grande avventura.

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