Poche saghe videoludiche attraversano una sostanziale reinvenzione e poi sopravvivono abbastanza a lungo da potersene vantare. Poco prima della sua uscita, avvenuta lo scorso aprile, in pochi avrebbero scommesso che God of War potesse divenire un’esclusiva PlayStation 4 tanto pregiata e strategica. Tuttavia, come evidenziato nella recensione di Gameplay Cafe, i meriti di questo gioco sono tanto sorprendenti quanto inconfutabili.
Avanzata questa premessa, ed in attesa dei dettagli che saranno inevitabilmente svelati alla Game Developers Conference (GDC) dell’anno prossimo, è dunque di estremo interesse andare a sviscerare qualche retroscena della nuova avventura di Kratos, cercando di evidenziare le finezze messe in campo da Santa Monica Studio e dal game director Cory Barlog per iniettare nuova linfa vitale nel suo personaggio più conosciuto.
God of War non è un open-world e nemmeno un RPG: è un gioco che fa del sistema di combattimento la propria colonna portante, ma che trova un pathos inaspettato, nonché sconosciuto alla serie, nella narrazione. Quest’ultimo aspetto è forse ciò che ha maggiormente stupito i giocatori: se d’incanto spogliassimo God of War della sua iconografia e di ogni suo riferimento culturale, al fondo rimarrebbe comunque la bellissima storia di un padre ed un figlio che, attraverso il viaggio e la maturazione individuale, forgiano un legame indissolubile.
Circa cinque anni fa, nel 2013, una storia simile appassionò tutti quanti noi giocatori: The Last of Us ci raccontò di un’altra coppia padre-figlio (figlia, in quel caso). Santa Monica Studio sembra aver preso come chiaro punto di riferimento Naughty Dog per il rilancio della saga di God of War. L’attenzione alla storia ed alla sua commistione con il gameplay sono punti chiave dell’eredità del capolavoro targato PlayStation 3. Il nuovo Kratos mostra chiare similitudini con Joel: entrambi emotivamente rinchiusi in sé stessi, entrambi con pochi confini morali rimasti da varcare, entrambi ritrovano la strada per la redenzione attraverso un rapporto affettivo con un personaggio di supporto. In God of War, infatti, Atreus ricopre abbastanza fedelmente il ruolo già occupato da Ellie: una sorta di catalizzatore del processo di umanizzazione del padre, nonché fulcro emotivo della storia e portatore dei pensieri del giocatore (una sorta di avatar, seppur non direttamente controllabile).
Come discusso nei retroscena Naughty Dog, vi sono determinate accortezze tecniche per creare una particolare empatia verso questo personaggio chiave e, vista la strategicità di Atreus nella storia, non sorprende che Santa Monica abbia prestato molta attenzione a questo aspetto: egli, guidato da un’abile intelligenza artificiale (che spero venga ulteriormente approfondita al prossimo GDC), si trova sempre in prossimità di Kratos, ben in evidenza nella nostra schermata, risulta sempre proattivo (per esempio aiuta il padre nella lettura di tutti gli artefatti scoperti oppure offre suggerimenti) e, soprattutto, non costituisce mai un peso in battaglia ma, al contrario, si dimostra una risorsa utilissima negli scontri più delicati del gioco.
Come spiegato nella prima parte di un interessante documentario sulla realizzazione del gioco, Atreus può scagliare frecce al nostro comando, ma può anche stordire e distrarre nemici di sua iniziativa. In altre parole, la gestione di questa intelligenza artificiale amica è resa agevole da tutta una serie di azioni prestabilite che il piccolo compagno di viaggio compiere sul terreno di battaglia: per esempio, egli salta addosso ai nemici, attraendoli verso di sé, senza bisogno di alcun input dal joypad.
L’utilità, la prontezza di spirito ed il coraggio di Atreus sono tanto elementi integranti del gameplay quanto nodi focali della storia: la crescente, seppur silenziosa, ammirazione di Kratos fa da battistrada all’evoluzione del loro rapporto.
Una peculiarità della gestione di Atreus, che lo distingue nettamente da tutti i personaggi di supporto dei giochi Naughty Dog, è costituita dalla possibilità di personalizzazione che, tanto per lui quanto per Kratos, viene offerta dagli sviluppatori.
Come detto poc’anzi, God of War non è un RPG, tuttavia offre la possibilità di modellare i personaggi attorno al proprio stile di combattimento: fattori come l’assorbimento dei colpi o lo sviluppo di determinati tipi di attacco sono interamente nelle mani di noi giocatore. Ciò aumenta sensibilmente la profondità del combattimento stesso, poiché talune build o skill si rivelano azzeccate in certe situazioni ma inadatte in altre: pertanto, il giocatore deve occuparsi di operare un bilanciamento nelle sue scelte strategiche di sviluppo del personaggio.
Il combattimento melee (ossia ravvicinato, senza armi da fuoco) è al cuore di God of War: in mezzo a tanti cambiamenti radicali, il giocatore deve riconoscere istantaneamente Kratos altrimenti vi è il rischio di snaturare il DNA della serie con probabile scontento dei fan storici. Una caratteristica di capitale importanza è la “pesantezza” della lotta, la sua tangibilità: ogni colpo conta e non può accadere con leggerezza.
Come spiegato in questo interessante video di approfondimento, gli sviluppatori hanno creato l’effetto devastante di Kratos curando molteplici aspetti, quali la velocità su schermo, gli effetti visivi, il suono ed il tremolio del joypad. I grugniti di Kratos al momento di effettuare un attacco, piuttosto che gli squartamenti disordinati dei corpi dei nemici che sono raffigurati su schermo con dovizia di particolari, sono fattori audio visivi che aiutano il giocatore a percepire la durezza dello scontro. In aggiunta a questi, alcune meccaniche di gioco interessanti, complesse e finemente studiate sono state implementate per rendere il combattimento melee divinamente possente. In primo luogo, God of War si ispira alla tecnica “hit stop”: quando Kratos colpisce un povero malcapitato le due figure vengono momentaneamente congelate. Ciò risulta particolarmente d’impatto poiché è stata messa in evidenza la collisione. A tal proposito, è molto interessante notare come le animazioni di attacco di Kratos siano esattamente le stesse a prescindere che si colpisca o meno un avversario: ciò che distingue i due casi, in termini di resa visiva, è proprio l’inserimento dell’hit stop in caso di successo nello sferrare il colpo. Tale stratagemma risale ai picchiaduro di vecchissima data e fu introdotto da Masahiro Sakurai, creatore della serie Super Smash Bros. Tuttavia, la sua implementazione in God of War raggiunge livelli di complessità e raffinatezza eccelsi. In particolare, la cosiddetta “inverse kinematics” (letteralmente traducibile in “cinematica inversa”) viene utilizzata per ottenere il momentaneo blocco dei movimenti richiesto dall’ hit stop. Per capire come funziona questa peculiare tecnica è necessaria una piccola premessa: ogni oggetto di gioco, che sia un personaggio, un elemento dell’ambiente o un oggetto di qualsiasi natura, possiede uno scheletro rigido. Tale scheletro è formato da una serie di nodi, cioè punti la cui posizione nello spazio è individuata da una serie di coordinate. Quest’ultime costituiscono un’informazione necessaria per la renderizzazione dell’oggetto medesimo ad opera del motore grafico. Tra i vari oggetti di gioco vi sono ovviamente anche le armi di Kratos: queste sono provviste di un particolare nodo sito in corrispondenza della punta, ovvero della porzione dell’oggetto che, in caso di avvenuto contatto con un nemico, è destinato ad entrare in collisione. Ad esempio, la parte finale della lama del Leviatano. I corpi delle NPC nemiche rappresentano egualmente oggetti di gioco: essi sono identificati da una serie di nodi i quali fungono da possibili punti che possono subire il danno da parte dell’arma di Kratos. Supponiamo dunque che il nostro arrabbiatissimo dio greco colpisca con il Leviatano la parte destra della testa di un avversario: il nodo sull’ascia viene sovrapposto al nodo locato nella parte colpita e, per un arbitrario, breve lasso di tempo questi due nodi vengono costretti a muoversi insieme. In questo intervallo, Kratos ed il nemico si muovono di concerto, uniti attraverso quell’unico punto di contatto ove la collisione ha avuto luogo. Tale nodo può essere fisso nello spazio, oppure può essere in condizione di moto rigido. La inverse kinematics interviene imponendo ai due corpi coinvolti nello scontro di effettuare un movimento coerente con la condizione imposta dall’unione dei due nodi. A questo punto, la velocità dell’animazione generata viene rallentata, per ottenere l’hit stop, e successivamente ripristinata per mostrarci su schermo il passaggio dell’arma attraverso il corpo del nemico. Il risultato, che tutti noi abbiamo conosciuto ed ammirato, è un combattimento melee estremamente fisico e cruento. Divino, appunto.
La potenza e la capacità distruttiva del Leviatano è esaltata dagli effetti di stordimento e blocco che sono ottenuti quando l’enorme ascia viene scagliata. I movimenti dello stesso Kratos, al momento di lanciare e riprendere l’arma, non sono mai fluidi poiché ciò ridimensionerebbe l’imponenza dell’oggetto.
La presenza stessa del Leviatano rappresenta una novità rispetto ai capitoli precedenti della saga: il suo funzionamento “tipo boomerang” è stato ideato in una fase abbastanza preliminare dello sviluppo del gioco ed ha quindi permesso di architettare un sistema di combattimento innovativo ed originale. Una volta scagliata l’ascia, essa può essere richiamata con il pulsante Triangolo: sulla traiettoria di ritorno l’arma può colpire un nemico alle spalle, cosa utilissima specialmente se questo è munito di scudo.
L’animazione del Leviatano ha subito diverse iterazioni durante lo sviluppo: inizialmente, subito dopo aver effettuato il lancio, Kratos attendeva fermo e con il braccio alzato. Successivamente, il braccio è stato abbassato per non mettere fretta al giocatore di riprendersi l’arma subito e favorire un combattimento più vario, strategico, ponderato e profondo. Infatti, si ha accesso ad un differente set di mosse quando il Leviatano è lontano: ad esempio, si possono afferrare avversari, attaccare con lo scudo oppure richiamare l’ascia ed operare un attacco in salto.
Durante il tragitto di ritorno, la rotazione dell’ascia attorno al proprio asse è visibile e realistica solamente a pochi metri di Kratos, onde evitare effetti visivi caotici che possano distrarre i giocatori.
La velocità con cui l’arma torna nelle mani del nostro personaggio dipende dalla distanza a cui è stata lanciata: più è vicina e più torna lentamente, e viceversa. Ciò consente di gestire il tempo di ritorno che, anche laddove l’ascia si trova in posizione estremamente lontana da Kratos, non può mai essere troppo lungo altrimenti risulterebbe frustrante per il giocatore.
La camera shake, ossia il tremolio dell’inquadratura, tecnica usata anche in The Last of Us e numerosi altri titoli, aggiunge infine un ulteriore fattore elettrizzante quando si scaglia il Leviatano.
Il nuovo God of War abbandona la sua tipica ambientazione intrisa di mitologia greca in favore di quella norrena. Questo cambiamento viene riflesso nella musica, come spiegato in questo video di approfondimento. Il nuovo tema del personaggio, Kratos, è una lenta marcia solenne: un aspetto singolare è la reiterazione delle tre note iniziale che produce un pezzo di musica dai toni oscuri, pericolosi e possenti. Queste tre note, inalterate, possono essere ascoltate ogni qual volta Kratos entra in un ambiente o compie un gesto particolare nei filmati: in tal modo viene naturale associare questo breve motivetto con il personaggio. Lo scopo del compositore era infatti quello di incapsulare sonoramente l’essenza di Kratos: infatti, in questo capitolo più che nei precedenti, l’arrabbiatissimo dio si trova ad affrontare un radicale cambiamento interiore, sottolineato anche dal cambiamento di contesto geo-culturale. Il gioco trova grande pathos narrativo nella caratterizzazione psicologica del suo protagonista e, in particolare, nel lento affiorare di tratti empatici dalla durezza iniziale. Questo capitolo di God of War è una tabula rasa per Kratos: una rivoluzione destinata a cambiare radicalmente l’idea che i giocatori hanno dell’amato protagonista. La musica deve rispecchiare tali cambiamenti e, pertanto, cambiare essa stessa. La colonna sonora di God of War è sempre stata contraddistinta da tre elementi: cori possenti, archi e ottoni. Seppur inalterata negli ingredienti, la tradizionale formula è rinfrescata da una novità: la lingua in cui il coro canta è ora il norreno, mentre in precedenza era il latino.
La lingua norrena era una lingua germanica che per secoli è stata usata dagli abitanti della Scandinavia. Tra le lingue moderne, la più simile ad essa è l’islandese, il quale ha subito pochissimi cambiamenti nell’ultimo millennio. Non a caso, il coro utilizzato per la colonna sonora è un popolare coro di base a Reykjavik: Scola Kent Orem. Inoltre, al fine di ottenere una musica dai toni grandiosi, il registro dei cori è quasi sempre molto basso: per ottenere questo particolare risultato, al canto originale in norreno vengono sovrapposte le voci di un coro inglese specializzato ad eseguire registri molto bassi. In tal modo, la pronuncia corretta viene conservata ed amplificata: la musica vuole supportare nella maniera più autentica possibile il cambiamento di contesto culturale, dalla mitologia greca a quella norrena
Tra le caratteristiche più straordinarie del nuovo God of War vi è senza dubbio la sua cinematografia estrema ed originale: l’intero gioco è un lunghissimo piano sequenza. Tale scelta peculiare, che indubbiamente conferisce un valore artistico aggiuntivo al gioco, comporta delle enormi difficoltà realizzative. Eseguire il motion capture, ad esempio, diviene ancora più delicato: attori e direttore della fotografia si devono muovere di concerto per permettere ad ogni scena di legarsi alla successiva ed alla precedente; il movimento della telecamera durante i dialoghi deve essere studiato ed azzeccato in modo da non indurre mal di mare. Sarà interessante vedere se Santa Monica Studio rilascerà ulteriori dettagli su come questa incredibile impresa artistica sia stata realizzata, nel frattempo questo interessantissimo pezzo apparso su Gameplay Cafe discute, tra le altre cose, i benefici di questa singolare scelta cinematografica.
In conclusione, il nuovo God of War è un connubio di scelte artistiche e tecniche innovative: Santa Monica Studio ha rivoluzionato il proprio marchio più celebre con audacia e perizia, senza badare troppo alle aspettative preconfezionate degli appassionati di lunga data. Del resto, l’evoluzione dei videogiochi non dovrebbe essere dettata dai giocatori.