La seconda chance di un videogioco

Quando il recupero di un titolo abbandonato si trasforma in un'inattesa esperienza positiva

Editoriale di Iacopo Risi

Poco più di un anno fa ho deciso di acquistare Hollow Knight per Nintendo Switch. Da fan della serie dei souls-like mi sono riavvicinato dopo diversi anni al genere metroidvania grazie a Salt and Sanctuary. Dopo l’esperienza più che positiva con questo clone bidimensionale in salsa platform del capolavoro di From Software, ho deciso di provare il gioco sviluppato da Team Cherry, uno dei più recenti fenomeni del panorama indie. E’ importante precisare che sapevo di non trovarmi di fronte ad un ennesimo metroidvania ibridato con i souls-like, pur avendo qualche forma d’ispirazione.
Dopo un entusiasmo iniziale, il mio interesse per Hollow Knight ha subito un drastico calo fino ad un completo abbandono dopo circa dieci ore (non consecutive, per carità) di gioco. Non c’è un motivo apparente legato alla qualità, dato che non avevo riscontrato nel gioco nessun particolare difetto: artisticamente meraviglioso, i comandi rispondono alla perfezione e l’esperienza è punitiva ma mai scorretta. Probabilmente la causa è da associare all’eccessivo backtracking, il quale, più che un difetto, rappresenta una caratteristica intrinseca dei metroidvania, come ci spiega Giulia Ghiadistri.

Una situazione tutt’altro che insolita, dato che capita a tutti di abbandonare un titolo, seppur celebrato da pubblico e critica. Il fatto curioso è che poche settimane fa ho ripreso in mano il gioco (la console portatile Nintendo aiuta molto in questi casi) ed ho sperimentato un’esperienza sensibilmente diversa rispetto a quella dello scorso anno. L’entusiasmo iniziale della prima volta non è scemato e non ho sentito il peso di quel tipo di ripetitività, tanto da portare a termine il gioco in un’altra quindicina di ore senza fasi di stanca.
Da qui nasce lo spunto di riflessione: quando e perché una seconda chance cambia completamente il giudizio di un titolo precedentemente abbandonato?

Per quanto riguarda questa esperienza personale, è chiaro che Hollow Knight non è un titolo per tutti ed il tedioso backtracking unito ad un’eccessiva dispersività della mappa di gioco possono effettivamente rendere la sessione di gioco sfiancante. Nel mio caso, evidentemente non era il periodo adatto per approcciarmi a quel tipo di ripetitività che ha messo in ombra le qualità di quello che ora considero un’autentica perla videoludica.
Il tema della dispersività è stato ampiamente affrontato da Antonio Di Stefano nel suo articolo “Gli Open World mi hanno stancato”, in cui, precisa, il tempo a disposizione rappresenta un fattore discriminante dell’esperienza videoludica in un mondo aperto. Affamati di completismo ed attratti dalla natura sandbox di molti giochi di questo genere, si rischia infatti di uscire per ore ed ore dalla narrativa, per rientrarvi a gran fatica. Dopodiché, periodi d’inattività e l’attenzione rivolta a nuovi titoli in arrivo rischiano di mettere l’esperienza in stand-by. Troppa libertà concessa dallo sviluppatore o scorretto approccio del giocatore? Assegnare le responsabilità di una simile situazione esula ovviamente dalla nostra analisi. Sicuramente l’aver mal interpretato un titolo può portare certamente all’abbandono, così come ad un recupero dagli esiti inattesi. Un caso interessante è il recente picco di utenti connessi a The Witcher 3.

La serie Netflix dedicata allo strigo uscita lo scorso dicembre ha sicuramente risvegliato l’interesse dei giocatori per il titolo di CD Projekt, tra cui molti che probabilmente lo avevano prematuramente interrotto. Il gioco è stato infatti elogiato da quasi tutta la critica, mentre tra il pubblico, in termini di gradimento, si sottolineano reazioni maggiormente contrapposte.

Quando tuttavia si parla di approccio videoludico sbagliato il pensiero torna sempre al primo Dark Souls. E’ indubbio che, prima di diventare un fenomeno di massa, il gioco abbia attirato l’attenzione di molti appassionati di action-RPG che lo hanno inizialmente abbandonato e successivamente ripreso in mano. All’uscita del gioco, oltre agli aficionados dell’antesignano Demon’s o dell’approccio hardcore in genere, vi era una folta schiera di giocatori semplicemente interessati a trastullarsi in un affascinante mondo dark-fantasy, magari in attesa dell’uscita di Skyrim, avvenuta il mese successivo. Quanti lo hanno abbandonato a causa della frustrazione o della comprensibile incapacità di percepire la “semiotica del silenzio” di quest’opera?

A questa prima visione è venuto a mancare il contrappeso di gran parte della stampa specializzata ed i primi artigianali contenuti su youtube che non hanno colto l’essenza di un classico del medium videoludico. Un classico divenuto infatti col tempo, grazie allo straordinario lavoro della community e di molti creatori di contenuti che, sulle speculazioni e spiegazioni del titolo di From Software, hanno (con merito) costruito la loro carriera di youtuber (davvero abbiamo bisogno di fare nomi?). Un lavoro che, tra gli altri, ha catturato e rinnovato l’attenzione di numerosi giocatori inizialmente delusi.

Vi sono casi, i peggiori per la verità, in cui il temporaneo abbandono di un gioco, seppur con grandi potenzialità, diventa inevitabile. E’ la situazione della pubblicazione di titoli oltremodo buggati, incompleti e carenti di contenuti (più o meno promessi) al lancio. Quando si parla di difetti di codice, il peso massimo più celebre della passata decade è stato probabilmente Skyrim. Oltre ai numerosi (e talvolta esilaranti) glitch, il titolo Bethesda era affetto da fenomeni di crash e freezing dello schermo. Ma il bug più critico era legato ai file di salvataggio del gioco su console. Passati i 10 Mb insorgevano infatti gravi problemi di lag e frame-rate che hanno costretto gran parte dei giocatori ad abbandonare il titolo ed attendere il rilascio di una patch, avvenuto diverse settimane dopo.

In termini di problemi tecnici non possiamo non segnalare gli estenuanti tempi di caricamento di Bloodborne. Un difetto tutt’altro che trascurabile, specialmente per chi si era approcciato ai souls-like per la prima volta. Questo significava passare la maggior parte del tempo a fissare una schermata di caricamento anziché le strade infestate di Yharnam. Anche in questo caso a risollevare le sorti è stata una patch che non ha risolto ma decisamente limitato i danni dopo alcune settimane dalla pubblicazione del titolo.
Star Wars:Battlefront 2 (SW:B2) è oggi un titolo di grandissimo pregio ed il merito va al team di sviluppo che ha lavorato con impegno per aggiungere nuove aree e modalità di gioco per rimediare ad un lancio che ha fatto discutere. La carenza di contenuti iniziali aveva infatti svuotato in poche settimane i server di gioco. Oggi la community del titolo Dice gode di ottima salute, complice anche l’uscita al cinema del terzo episodio della nuova trilogia. Le vibrazioni positive riscontrate tornando nel mondo di SW:B2 non sono quindi sorprendenti, dato che oggi è chiaramente un altro gioco rispetto alla versione di lancio.
Quando si parla di false promesse il titolo più rappresentativo di questa generazione videoludica è naturalmente No Man’s Sky.

Della travagliata storia di Sean Murray e della sua opera sono già stati spesi fiumi d’inchiostro digitale fino al felice epilogo del rilascio di NEXT, il corposo update del 2018 che ha introdotto gran parte delle promesse non mantenute al lancio, risollevato l’immagine di Murray e recuperato buona parte degli esploratori spaziali.

E voi, avete avuto esperienze in merito con questi o altri titoli? Quale gioco vi ha positivamente sorpreso dopo una prima esperienza negativa? Diteci la vostra.

Ci sono 2 commenti

COLDSEASONS
COLDSEASONS "Master of the Universe"
Complimenti, ti sei registrato!Chiacchierone!NiubboGuardone!Gameplay Café è il mio ritualeJuniorE3 2019 Special!Master
5 Febbraio 2020 alle 16:03

Da fan dell’universo Tolkeniano, all’annuncio di L’ombra di Mordor esultai davvero tantissimo. Tempo dopo, quando misi mano al gioco su Playstation 4 rimasi letteralmente inorridito. Un gioco che trovai noioso e brutto su tutti i fronti. Col cuore colmo di delusione, riposi il disco nella sua custodia e lo salutai per quello che pensavo fosse un addio. Non riuscendo a realizzare che una cosa legata al Signore degli Anelli potesse avermi fatto tanto schifo, tempo dopo (circa un anno) decisi di dargli una seconda chance. Mai decisione fu più indovinata. Il gioco lo adorai sotto quasi tutti i punti di vista e il seguito mi piacque persino di più.

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