Tre domande al videogioco

Affrontiamo il fenomeno in domande casuali, ma fortemente attuali

Editoriale di Giulio Baiunco

Il videogioco è, come definito da Treccani, un dispositivo elettronico che consente di giocare interagendo con le immagini di uno schermo. Per altri è perlopiù una forma d’intrattenimento, per alcuni arte e per molti è il capro espiatorio non appena accade un evento tragico. Il mezzo da noi utilizzato e amato per trasmettere un contenuto audiovisivo interattivo è nato da poco e gli studi a riguardo sono pochi. Possiamo partire scomponendo le due parole che compongono il termine: video e gioco.

Il primo è lo schermo fluorescente su cui si formano le immagini, nel nostro caso è un sistema elettronico con dispositivi di input e output. Il secondo è un termine già complesso da trattare che si porta con sé una definizione in continuo cambiamento da quasi un secolo. Partendo da Huizinga, passando da Roger Caillois, arriviamo a Jesper Jull che definisce il gioco come un sistema di regole con esiti variabili e quantificabili, in cui a differenti risultati sono assegnati differenti valori, il giocatore esercita un impegno per influenzare il risultato, il giocatore è emozionalmente attaccato al risultato e le conseguenze dell’attività sono negoziabili. Con una definizione di entrambi i termini che compongono la parola videogioco possiamo cominciare a analizzare il mezzo partendo da tre domande in ordine casuale (a meno che non troviate un filo conduttore come in Black Mirror). 

Cosa può essere considerato videogioco?

So when you ask what I think of games today, well, it’s a very difficult question for me. I end up having to say that games today just aren’t games to me. -Gunpei Yokoi

Il videogioco è un prodotto d’intrattenimento così come gli altri medium: il cinema, la televisione, la lettura. A differenza di quest’ultimi, il mezzo da noi amato consente di interagire attraverso un controller che fa muovere il protagonista o l’oggetto che osserviamo sullo schermo. Ogni movimento effettuato plasma completamente l’esperienza, così che nessuno avrà mai la stessa esperienza di una determinata opera. Il videogioco viene fruito, sin da tempi remoti, nelle sale giochi e con il passare degli anni è arrivato nelle nostre case grazie al Magnavox Odyssey, Atari e, successivamente, Nintendo Entertainment Sistem e Master System. I posti in cui venivano utilizzati i cabinati erano luogo di incontro sociale, punto d’interesse per giovani e meno giovani in cui il videogioco era una scusa per stare con gli amici. Con il passare degli anni e degli hardware, l’intrattenimento è arrivato nelle nostre case, poiché dovevamo pur fare qualcosa una volta finite le videocassette. Ma non bastava. Prima che potessimo portarci Netflix sul nostro telefono, non esisteva un modo comodo per guardare i film in giro. Così l’industria videoludica si è chiesta come portare l’intrattenimento quando si è sul treno, in fila alle poste o in attesa che ti diano una stanza al love hotel.

Nel 1980, già all’inizio del decennio scorso erano stati creati altri dispositivi, quando Yokoi ha inventato i Game & Watch abbiamo avuto un boom di console portatili. Adesso non hai più bisogno di pigiare i tasti di una calcolatrice quando ti guardi in giro e non hai nulla da fare. Un nuovo modo di intrattenersi era stato inventato e oggi fa parte del libri di storia. Ai giorni nostri l’élite dei “veri videogiocatori” screditano le forme d’intrattenimento presenti su smartphone, “non è videogioco” direbbero alcuni. Tutto dipende dalla definizione che viene data e dai consumatori su console e PC che discriminano i giocatori della domenica. Ma sono le persone a essere discriminate, non il contenuto. Se, come abbiamo sostenuto a inizio articolo, il videogioco è un dispositivo elettronico che consente di giocare interagendo con le immagini di uno schermo, allora anche Clash of Clan o Snake dovrebbero essere considerati un prodotto videoludico. E poi come facciamo a non considerare tali capolavori come Monument Valley o Bury Me, My Love? Alcuni potrebbero definirle esperienze interattive, anche perché anche premere un pulsante con il telecomando potrebbe venire considerato videogioco, ma la definizione è labile e dipende da ciò che per noi è videogioco e se dobbiamo attenerci alla definizione di Treccani o cambiarla in un modo più carino.

I videogiochi fanno bene o male?

Videogame are bad for you? That’s what they said about rock and roll -Shigeru Miyamoto

Fanno male agli occhi e aumentano i riflessi, rendono obesi e migliorano la capacità di lettura. Nel corso degli anni se non sono dette tante, troppe. Cari genitori, possiamo rassicurarvi: i videogiochi non rendono violenti. La sedentarietà, dovuta anche alla fruizione di altre forme d’intrattenimento può rendere obesi in dipendenza allo stile di vita adottato e all’alimentazione, tuttavia state pur certi che l’aggressività insita nel vostro infante non dipende da un dispositivo elettronico. Arriveremo al giorno in cui, come per il cinema quando la gente usciva dalla sala per non essere investita da un treno, i videogiochi faranno parte del quotidiano delle persone. Pochi saranno a contrastarlo e molti pagheranno un biglietto per andarlo a vedere in anteprima od osservare chi gioca come professionista. Gli e-sport esistono già adesso, ma sono un fenomeno non troppo popolare nel nostro paese. Ormai si tratta solo di questione di anni, in cui le vecchie generazioni si ritroveranno a comprenderlo o, più semplicemente, ad accettarlo. Non ci resta che aspettare, tuttavia non dobbiamo stare solamente a guardare. Dovremmo parlare, riflettere, far riflettere e convincere chi ancora è duro di comprendonio e non riesce ad accettarlo, è necessaria una rivoluzione?

Non penso, credo che la comunicazione chiara possa rendere più semplice il dialogo fra vecchia e nuova generazione, presentando nel tavolo delle idee le opinioni dell’uno e dell’altro e metterle a confronto. Attraverso un discorso pacato e mostrando le ricerche che confutano o avvalorano la tesi che i videogiochi facciano male. Ancora i tempi non sono maturi e l’immaginario comune, dovuto sopratutto alla stampa generalista (come il caso della sparatoria a Jacksonville) che si rivolge alla vecchia generazione inculcando lo stereotipo del videogioco che rende violenti ed è la causa di tutti i mali, infatti chi non è familiare con i videogiochi ha una sua opinione negativa. Utilizzare un mezzo d’intrattenimento come capro espiatorio è solo una scorciatoia per evitare di riflettere e far pensare che magari le cause sono dovute ad altro, ma si sa: il cervello deve risparmiare energie!

Perché i genitori hanno paura del videogioco?

My parents said that sitting at home playing video games all day won’t bring you anywhere in life – PewDiePie

Hanno paura di vedere il proprio figlio davanti lo schermo per tutte quelle ore, ma lo attaccano al pad per farlo stare zitto: è un circolo vizioso. Mi riallaccio al discorso di prima: si tratta di ignoranza. Quando un gruppo di persone dall’età non troppo definita, forse un po’ avanzata, osservano un fanciullo seduto con il cellulare fra le mani pronto a far esplodere qualche nano, sono subito pronti a giudicarlo come un emarginato, apatico, senza conoscerlo veramente. In realtà non è il videogioco il problema, ma l’educazione ricevuta sin da piccolo. Nonostante i genitori abbiano paura dei videogiochi perché: “causano il male del proprio figlio” sono loro il problema e non il contrario. Non importa che sia un videogioco, un film o un prodotto d’intrattenimento che avviene davanti a uno schermo, bisognerebbe capire perché il bambino fugge dalla realtà e aprire un dialogo con lui. I genitori, soprattutto della generazione X che non hanno mai avuto a che fare con prodotti videoludici, hanno paura ad avvicinarsi a questo nuovo tipo di esperienze, forse per paura di competere con i figli o forse per semplice e completo disinteresse.

Teoria 1- L’ignoranza

I genitori che non si sono mai approcciati a un videogioco presentano pregiudizi nei suoi confronti e, vedendo il figlio attaccato allo schermo, credono che stia perdendo tempo e si stia facendo del male psicologicamente (congettura dimostrata non veritiera nella domanda di poc’anzi). C’è un motivo ben preciso se le persone (che siano adulti o meno) rimangono per ore a fissare il televisore (ne abbiamo parlato qui) e si tratta dello stato di flusso. L’attività che stiamo compiendo ci immerge completamente e siamo felici. Quindi i genitori dovrebbero aver paura della felicità? Ciò che maggiormente li preoccupa e fatto che appaiano come degli zombie, ma è la stessa cosa che accade quando loro guardano la tv! I videogiochi sono progettati per maniere l’utente più tempo possibile con esso, altrimenti ci sarebbe un problema di fondo. Non c’è nulla di male con il prodotto in se, ma l’uso che se ne fa. In sostanza, è sbagliato prendere decisioni sulla restrizione del videogioco senza conoscerlo veramente, solamente poiché il sentimento principale provato nei suoi confronti è paura e incertezza.

Teoria 2- Il pad

Un’altra teoria potrebbe essere quella del pad. Sì, il pad. Quell’aggeggio nero con dei bottoni colorati sopra che servono a far fare cose a quel pupazzo che appare sul mio televisore, direbbe un matusa. I genitori trovano difficoltoso il confronto e, magari il giudizio, con il proprio figlio che sarebbe divertito nel vederlo faticare a prendere la mano con i controlli. “Se solo inventassero un dispositivo più amichevole con i meno giovani che hanno difficoltà con le nuove tecnologie”: ecco la rivoluzione Wii. Nintendo, coraggiosissima, ha deciso di prendere in mano le redini e realizzare un controller con un design analogo a un banalissimo telecomando per televisione. Ecco che così possono prendere parte all’esperienza videoludica anche oggi, trasportati dagli spot televisivi con Donnarumma e Mara Maionchi. Magari chi è rimasto colpito da prodotti per giocatori casual potrebbe essersi avvicinato alle successive richieste di hardware videoludico da parte del proprio figlio ed essere rimasto legato a una forma d’intrattenimento che sta cambiando e continuerà a cambiare l’industria non solo videoludica, ma di vario genere (come dimostrava già Forbes nel 2010), e che oggi troviamo anche per tenere corsi di aggiornamento in settori specifici.

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Fonti:

Treccani: videogiocovìdeo

J. Juul, Half-Real, MIT Press, 2001.

Frontiers, The Future of Action Video Games in Psychological Research and Application

Frontiers Blog, Violent video games found not to affect empathy

Forbes, When Playing Videogames At Work Makes Dollars And Sense

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