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I 10 giochi che hanno scritto la storia di PlayStation 4

L’incontenibile eccitazione per le nuove console ci sta proiettando verso il futuro ormai da mesi. Bello, bellissimo: per gli appassionati questi sono momenti da vivere con tutto il traboccante entusiasmo del caso. Eppure, mai come ora e prima di saltare definitivamente sulla carrozza della Next-Gen, vale la pena fermarci un attimo per tirare le fila del recente passato. La generazione corrente ha permesso infatti al nostro medium di compiere dei veri e propri passi da gigante in termini di complessità e qualità. E che siate fanboy d’annata o detrattori di professione, una cosa è certa: Sony ha rivestito un ruolo chiave in questa evoluzione. Per cui, occhietto umido e sacchetto dei ricordi alla mano, seguiteci alla scoperta dei 10 giochi che hanno fatto la storia di Playstation 4!

PS: ad ogni titolo in lista troverete associata la voce New Read +. Questo comodo elenco vi porterà a tutti gli speciali e gli approfondimenti che abbiamo prodotto nel tempo su Gameplay Café. Sono tanti e sono bellissimi, quindi approfittate dell’occasione per leggere qualche pezzo d’archivio davvero degno di nota!

E non dimenticatevi anche di commentare con la vostra e personalissima selezione di dieci giochi!

The Order: 1886 – 20 febbraio 2015

Se lavorare a una nuova IP è di per sé un’operazione rischiosa, lanciarla nel primo anno e mezzo di vita di una nuova generazione denota senz’altro tendenze auto-lesioniste. Purtroppo infatti, anche The Order: 1886 come tanti altri prima di lui ha sofferto della maledizione “della prima ora”. L’iter è più o meno sempre questo: difficoltà impreviste con il nuovo hardware, tempi di lavoro che si allungano, costi di produzione che si alzano, rapporti che si incrinano, stagliuzzamenti vari ed eventuali, promesse disattese, vendite scarse (complice la base installata ridotta) e ripperoni sogni di gloria.

Una sorte 1:1 era successa a Ninja Theory con Heavenly Sword su PlayStation 3, così come al bistrattatissimo Ryse: Son of Rome di Crytek su Xbox One. E ciononostante, in tutti questi casi – e forse specialmente con The Order – i giochi in questione avrebbero meritato ben altra sorte che lo scaffale. Seppur in scala ridotta infatti, l’opera di Ready At Dawn racchiudeva in sé i tratti genetici delle esclusive Sony che milioni di giocatori avrebbero imparato a conoscere e amare negli anni a venire. Avventura lineare dal taglio cinematografico, comparto tecnico sloga-mascella, gameplay solido, sceneggiatura matura e così via. Il DNA era insomma proprio quello dei PlayStation Studios in tutto e per tutto.

In più, The Order: 1886 poteva vantare un’intelligenza artificiale particolarmente sofisticata per l’epoca, mai lodata abbastanza, e un immaginario di grande, grandissimo impatto. La Londra vittoriana declinata in salsa steampunk che faceva da sfondo alle peripezie di Sir Galahad e i Cavalieri della Tavola Rotonda aveva, ed ha, un fascino seducente. Sarebbe dovuto essere solo il prologo di una lunga e (potenzialmente) gloriosa saga, ma noi Bestie (!) non gli abbiamo mai perdonato la scarsa longevità, condannandolo all’oblio. GG.

New Read +

Bloodborne – 25 marzo 2015 

La prima vera Killer Application di PlayStation 4 porta la sanguinosa firma di Hidetaka Miyazaki. Dopo aver fatto riscoprire al mondo il piacere perverso dell’essere presi (videoludicamente) a schiaffi e aver segnato in maniera indelebile la storia del medium dello scorso decennio con la serie dei Souls, il diabolico Director confeziona un altro spietato capolavoro: Bloodborne. Pur senza stravolgere in toto la formula vincente dei precedenti lavori targati From Software, le efficaci modifiche strutturali hanno conferito al titolo un nuovo, ma al tempo stesso inconfondibile, sapore.

Brillante nella deriva action, avvincente nell’aggiunta dei dungeon procedurali e superbo nella costruzione del mondo di gioco, Bloodborne è un gioiello di game design in tutto e per tutto. Anche a distanza di anni, la corrotta Yharnam, così affascinante nelle sue architetture e atmosfere gotico-vittoriane, non smette di incantare i giocatori che ancora ne sviscerano i segreti più reconditi. Milioni di appassionati continuano a sperare in un seguito, ma i rapporti tra Sony e Miyazaki sembrano essersi incrinati durante lo sviluppo a causa dell’eccessiva “follia creativa” dell’autore giapponese. Ad oggi risulta comunque difficile prevedere cosa riusciremo a giocare prima di abbandonare queste spoglie mortali, se Bloodborne 2 o l’evanescente Elden Ring. Chi vivrà, vedrà. Forse…

New Read +:

Uncharted 4 – 10 maggio 2016

Se c’era un team che poteva alzare ancora una volta l’asticella dei TPS action-adventure lineari quello non poteva che essere Naughty Dog. Uncharted 4 è infatti la sublimazione definitiva del genere a cui appartiene, nonché la degna conclusione dell’epopea di Nathan Drake. Immaginare cosa si possa ottenere di più, o di meglio, da questa formula ludica è francamente impossibile. Le meccaniche di gioco, dall’esplorazione alle sparatorie, sono cesellate alla perfezione, il ritmo è ben bilanciato, la spettacolarità dell’avventura farebbe impallidire lo stesso Indy e gli scorci da cartolina non si contano.

L’arrivo a bordo della saga di Neil Druckmann, già distintosi per il primo The Last of Us, ha poi dato una spinta qualitativa anche sul fronte della narrativa, l’elemento più debole dei precedenti capitoli. I personaggi già buoni, diventano qui molto più credibili, sfaccettati, vivi, e  l’epilogo de “La fine di un ladro” è semplicemente una delle migliori conclusioni che ci sia mai capitato di giocare. Dolce, delicato, a tratti malinconico, sagace. In una parola: perfetto.
Ci si potrebbe legittimamente chiedere se questa declinazione dei giochi d’azione abbia ormai detto tutto ciò che c’era da dire. E con buona probabilità, la risposta sarebbe anche affermativa, ma tutto questo poco importa ai fini del nostro discorso. Ad oggi Uncharted 4 resta senza dubbio la vetta più alta da scalare per scrutare l’orizzonte e scoprire nuovi sentieri da tracciare.

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Horizon: Zero Dawn – 1 marzo 2017

Dopo aver scoperto l’esistenza di un intero spettro dei colori oltre al grigio e il rosso con Killzone: Shadow Fall, nel 2017 i ragazzi di Guerrilla Games si smarcano finalmente dalla loro saga bellica. Questa saggia (e necessaria) decisione permette loro di compiere un significativo balzo in avanti in termini qualitativi, dando vita all’affascinante Horizon: Zero Dawn. La commistione di elementi preistorici e creature ultra-tecnologiche del futuro immaginato dal team olandese ci ha lasciati a bocca aperta sin dal primo annuncio, complice anche un comparto tecnico da primo della classe.

Il Decima Engine è stato infatti senza dubbio il valore aggiunto della produzione. Un gioiellino tecnico capace di spremere l’hardware dell’ammiraglia Sony, ammaliare niente meno che Hideo Kojima dopo la fuga da Konami e garantire pure una bella promozione al buon Hermen Hulst. Purtroppo però, al netto di un mondo di gioco dal fascino irresistibile, un soggetto intrigante e un gameplay raffinatissimo, capace di staccare di diverse misure la concorrenza, Horizon ha mostrato il fianco su diversi fronti. L’incedere del racconto è funestato da alcune decisioni semplicemente scellerate (gli ologrammi, gli ologramiii!), la struttura delle missioni, in particolare quelle secondarie, è spesso banale e ripetitiva, e Aloy si è rivelata essere una protagonista piatta, monocorde, tutt’altro che memorabile. Il secondo capitolo, Forbidden West, è ai nastri di partenza e i presupposti per evolvere quanto di buono fatto nel primo episodio ci sono tutti. Sarà così? Non sarà così? Lo scopriremo presto!

New Read +:

Persona 5 – 4 aprile 2017

“E così nel mercato di oggi non ci sarebbe più posto per i GDR a turni? Hold my beer, Square!” Ecco ora non so voi, ma io continuo a immaginarmele più o meno così le riunioni dei P-Studio. E con oltre 5 milioni di copie vendute alle spalle, verrebbe da dire che gli sviluppatori di Atlus abbiano proprio fatto centro, segno che, forse, quando la qualità prevale, anche noi videogiocatori, rinomato gregge di capre, sappiamo rendere onore al merito. Ah, che scoppola a chi ancora sostiene che la deriva action dei giochi di ruolo sia un male necessario…

Persona 5 è un capolavoro, non giriamoci attorno, tant’è vero che in molti lo ritengono uno dei migliori JRPG di sempre. Difficile pensare il contrario d’altronde: con una direzione artistica tanto esagerata quanto ricercata, minuziosa e originale, un gameplay al bacio e una trama avvincente, il gioco è entrato di diritto nell’Olimpo del genere. Ma non è tutto! Persona 5 si trova qui anche per il prezioso valore storico che riveste. Infatti, insieme a una manciata di altri titoli come Yakuza e Dragon Quest XI, P5 ha dato il via a una nuova “riconquista dell’occidente” da parte degli sviluppatori giapponesi. Non a caso, in seguito al loro successo, hanno cominciato a fare capolino qui da noi conversioni inedite, si pensi ad esempio a Persona 4 su PC o alla remastered di Shin Megami Tensei III su Switch, oltre a produzioni più folli come i rhythm game dello stesso Persona. Insomma, un risultato davvero niente male che merita di essere celebrato a dovere, magari in compagnia della strepitosa riedizione Royal!

Ah già, l’interfaccia grafica è un orgasmo visivo e c’è qualcuno là fuori che ne ha fatto il cosplay. Sticazzi direte voi, ma ci tenevo a farlo presente.

New Read +:

God of War – 20 aprile 2018

C’era una volta un uomo con un sogno: realizzare un action-adventure in terza persona ripreso con un unico piano sequenza. Quell’uomo risponde al nome di Cory Barlog e all’epoca di questa intuizione militava tra le fila di Crystal Dynamics, dirigendo le cinematiche del reboot di Tomb Raider. Non era però accanto a Lara Croft che il director prodigio avrebbe espresso tutto il suo talento. Il progetto, considerato troppo rischioso, venne infatti bocciato dalla direzione di Square Enix e Cory dovette (ri)spiccare il volo verso Santa Monica. Qui, sotto la guida di uno scettico e diffidente Shuhei Yoshida, Barlog ottenne infine luce verde per un nuovo capitolo di God of War con il quale dare forma a tutta la sua ambizione creativa. E magari, tra le altre cose, provare a riportare in auge una saga che aveva ormai perso da tempo i fasti degli albori.

Non senza tante, tantissime, difficoltà, Kratos tornò a mostrarsi al pubblico nel giugno 2016 in quello che probabilmente verrà per sempre ricordato come uno dei momenti più potenti ed esaltanti degli annali dell’E3. Il resto, come si suol dire, è storia. Dopo aver fatto razzia di premi e riconoscimenti in ogni angolo del creato e aver strappato a Red Dead Redemption 2 le statuette più ambite dei The Game Awards 2018 (Game of the Year, Best Game Direction e Best Action/Adventure), God of War è oggi considerato da molti appassionati come l’espressione più alta raggiunta dal videogioco in questa generazione. Applausi.

New Read +:

Qui ci siamo davvero sbizzarriti…

Marvel’s Spider-Man – 7 settembre 2018 

Lo sviluppo di storie e personaggi complessi, la spasmodica ricerca del realismo e la rincorsa ai riconoscimenti artistici sono fenomeni noti che hanno accompagnato l’evoluzione del medium. Annebbiati da tanti virtuosismi, ci siamo talvolta dimenticati però, che un titolo può (e deve?) essere valido anche solo in funzione della sua “giocosità”. Ecco, Marvel’s Spider-Man è qui proprio per questo, per ricordarci che i videogiochi possono essere anche (e ancora) puro intrattenimento. Semplice così, come volteggiare tra i grattacieli di New York appesi a una ragnatela. L’ultima fatica di Insomniac Games è divertente. Ma tipo tantissimo. Genuino e appagante divertimento. Tutto qui, nel bene e nel male. Perché è vero, il gioco avrà anche svariati difetti, ma dondolare tra i palazzi e pestare i cattivi negli attillati panni di Peter Parker è uno spasso incredibile e tanto basta, quantomeno per godere delle 20/30/40 ore in sua compagnia. Limpido ed efficace!

Il successo stratosferico (oltre 13 milioni di copie piazzate) ha convinto Sony ad acquisire Insomniac dopo una collaborazione quasi ventennale e ha demandato all’arrampica-muri il compito di trainare le vendite di PlayStation 5 con Miles Morales. Un risultato niente male per l’amichevole Spidey di quartiere!

Death Stranding – 8 novembre 2019

Divisivo, indigesto, sopravvalutato, sottovalutato, incompreso… L’ultima opera di Hideo Kojima racchiude in sé tutta la follia, il genio e l’istrionismo del suo creatore, elevato se possibile all’ennesima potenza. Capite quindi che se parlare di Death Stranding già non è facile di per sé, farlo in poche righe lo è ancora meno. Potremmo infatti discutere del come e del perché l’universo imbastito dal maestro nipponico sia una delle migliori, se non la migliore, opera sci-fi dell’ultimo decennio. Allo stesso modo potremmo analizzare le scelte che hanno reso possibile la trasformazione di un simulatore in un prodotto mainstream, oppure ancora potremmo riflettere, e arrabbiarci magari, sulla decisione di ricorrere a ore e ore di sequenze filmate. Tuttavia, nessuno di questi pretesti basterebbe a giustificare il perché il titolo in questione si trovi qui e il perché abbia un’importanza epocale.

Il motivo è presto detto: Death Stranding ha rivendicato con forza titanica l’indipendenza e l’autonomia del videogioco come espressione artistica. Attraverso una coerenza e un’aderenza senza pari tra soggetto del racconto, messaggio dell’opera e soluzioni di game design (soprattutto per quanto concerne il multiplayer asincrono), Death Stranding travalica i confini dello schermo per avvolgere lo spettatore e renderlo parte integrante dell’opera. Il giocatore viene investito del messaggio dell’autore, divenendone il portatore, un’estensione virtuale, e con il suo operato contribuisce infine a plasmare un’opera d’arte nuova, universale, rivendicando così un ruolo attivo in questo processo creativo.

Tutto ciò, inutile a dirsi forse, è reso possibile esclusivamente dall’interazione che solo il videogioco, tra tutte le forme d’arte, concede al fruitore. Ed è quindi in questo senso che Death Stranding fa compiere un balzo avanti straordinario al suo medium, di cui è orgogliosamente portavoce, configurandosi come un capolavoro imperfetto la cui eco riecheggerà per sempre. Death Stranding È un videogioco e non potrebbe, né vorrebbe, essere nient’altro al mondo. Ragion per cui, se mai sentirete dire di nuovo che “è riduttivo definirlo tale” o che “Kojima dovrebbe dedicarsi al cinema”, ve ne prego, alzate un dito medio anche per me. Con amore.

New Read +:

Dreams – 14 febbraio 2020

L’ultima produzione di Media Molecule è il traguardo virtuale di un percorso intrapreso nel lontano 2008: fornire ai giocatori di tutto il mondo uno strumento accessibile con il quale dare forma ai loro sogni creativi. Dreams è infatti un enorme e potentissimo editor che cerca di scrollarsi di dosso la complessità intrinseca dei motori grafici tradizionali in favore di semplicità e immediatezza, con risultati a dir poco sorprendenti. Che siate degli scultori digitali in erba, dei novelli compositori, o dei game designer a tutto tondo, in Dreams troverete il modo per esprimere la vostra arte. Le potenzialità di questo ecosistema sono infatti pressoché infinite, a patto di possedere la motivazione necessaria per esplorarle a dovere.

La grandezza di Dreams è racchiusa davvero tutta qui, con i suoi pro e i suoi contro. Se infatti da una parte avrete possibilità creative letteralmente illimitate, dall’altra dovrete comunque mettere in preventivo ore di impegno e dedizione in cambio di… bè, essenzialmente nulla oltre la gloria. L’unico grosso problema del titolo è proprio quello di non ricompensare adeguatamente i suoi creatori, con il rischio, così facendo, di allontanare sempre di più quella fetta di utenza che dovrebbe tenere in vita il progetto. Con l’arrivo che diamo per scontato su PlayStation 5, e un possibile approdo sul mercato PC, forse più avvezzo a questo genere di sperimentazioni, ci auguriamo che questa coraggiosa scommessa possa trovare la sua completa realizzazione e il successo che merita. Nel frattempo, continuiamo a sognare.

New Read +:

The Last of Us Parte II – 19 giugno 2020

Si può prendere quello che è considerato all’unanimità un capolavoro del recente passato e farlo apparire improvvisamente un giochetto da niente? Se lo chiedeste a Neil Druckmann, probabilmente vi risponderebbe che sì, si può. Lui l’ha fatto. Ricordate quel pugno nello stomaco che era il prologo di The Last of Us? Sono ancora vividi in memoria i drammi che avete vissuto nel viaggio di Ellie e Joel? Bene, perché in ogni caso non sarete pronti per ciò che vi aspetta. Nulla, nulla, di ciò che avete vissuto nella vostra precedente carriera potrà mai prepararvi adeguatamente alle ferite psicologiche che Parte II vi infliggerà imperterrita. TLOU2 scardina ogni sicurezza di che pensa di trovarsi al sicuro al di là dello schermo: non è così.

Più volte sarete tentati di posare il pad per porre fine alla spirale di dannazione entro cui vi siete trovati risucchiati, ma non potrete farlo. Non potrete nemmeno distogliere lo sguardo: al contrario, dovrete sporcarvi le mani e continuare, perdendo voi stessi assieme alle protagoniste. The Last of Us Parte II è un fiume emotivo in piena, pronto a travolgervi e traghettarvi ai titoli di coda dove arriverete svuotati. Lì, e lì soltanto, potrete finalmente abbondonarvi a un pianto liberatorio, nel disperato tentativo di dare un senso a tutto ciò che avete appena vissuto, laddove forse un senso nemmeno c’è. O forse sì, e chissà che la tragedia di cui siete stati testimoni non si trasformi in catarsi e vi faccia ritrovare diversi, riconciliandovi con una riscoperta empatia.

Se tutto questo non bastasse, sappiate che mentre TLOU2 estende con il suo racconto i confini delle potenzialità espressive del medium, trova anche il tempo di ridefinire gli standard di tutti gli altri elementi che compongono l’esperienza ludica. Il risultato è talmente impressionante da poter essere riassunto così: qualsiasi sia l’elemento che riteniate cardine, qui lo ammirerete nella sua massima espressione possibile oggi. The Last of Us Parte II è la summa di tutto ciò che può offrire il videogioco nel 2020, e forse anche qualcosa in più. Il canto del cigno di PlayStation 4. Una pietra miliare per il futuro.

New Read +:


E con The Last of Us Parte II si conclude infine il nostro speciale sui 10 titoli che hanno scritto la storia di PlayStation 4. Cosa ne pensate a riguardo? Siete d’accordo con le nostre scelte o avreste optato per qualche altro titolo? Come sempre, fateci sapere la vostra nei commenti qui sotto!  

Giacomo Bornino

View Comments

  • Bellissimo articolo, ogni volta che sento di un'esclusiva Sony mi viene la pelle d'oca, nonostante tutte le difficoltà che dovrà affrontare nella prossima gen. Continuerò a sceglierla.

    • Ti confesso che un po' lo penso anche io, ma continuo ad essere fiducioso nei confronti di una diversificazione più marcata del mercato, in modo che tutti possano trovare spazio per fare ciò che vogliono. Al netto che sia ancora sostenibile ovviamente, ma questo lo scopriremo solo col tempo. Per intanto credo si prospettino anni esplosivi per tutti gli appassionati! :)

  • Concordo, gran bello speciale. Manca però il mio gioco della generazione ovvero Days Gone. Ovviamente non è perfetto ma è quello che io ho trovato più di mio gradimento in assoluto (assieme a The Last of Us Part II). Le esclusive Sony regalano sempre grandi emozioni; non vediamo l'ora di scoprirne di più nel corso della gen che sta per arrivare.

    • Grazie Cold! Diciamo che Days Gone avrebbe anche potuto giocarsela con The Order o Spider-Man per certi aspetti, ma alla fine i meriti di questi due titoli mi sono sembrati più alti, in ottica "storica". Resta comunque un gran bel (e bistrattato) titolo, questo è certo!

  • Io jack probabilmente avrei tolto persona 5 (che mi è piaciuto moltissimo) perchè valido per una super nicchia, in favore di final fantasy 7 remake che anche se non sarà esclusivo per sempre, è stato uno dei giochi più chiaccherati e ambiti della gen fino all'uscita. Grande articolo comunque!

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